Anno di pubblicazione: 2014
Nel gennaio 1954 il «Candido» di Giovannino Guareschi pubblicava due false lettere
di Alcide De Gasperi, datate 19 e 26 gennaio 1944, che sollecitavano il bombardamento
alleato di Roma occupata dai nazisti. Di questa oscura campagna giornalistica, che
nell’aprile 1954 sfociò in un caso giudiziario e nella condanna di Guareschi a un anno di
carcere per diffamazione, il volume di Franzinelli offre una prima ricostruzione, valendosi
opportunamente delle fonti archivistiche dei due protagonisti.
La sua indagine ha il merito di accertare non soltanto l’inattendibilità (confermata
dalla perizia grafologica del capitolo conclusivo), ma anche la sequenza degli «apocrifi»
prodotti dall’informatore guareschiano, l’ex repubblichino Enrico De Toma. Una prima
lettera del 12 gennaio 1944, con un inesistente numero di protocollo della Segreteria
di Stato vaticana, era stata già oggetto di «trattativa» con emissari degasperiani, che ne
verificarono l’inautenticità alla vigilia delle elezioni del 1953. In quella versione il falso
fu ritirato, ma ne reiterarono il contenuto le missive affidate a Guareschi, che decise di
pubblicarle quando De Gasperi, non più presidente del Consiglio ma segretario della Dc,
contribuì alla caduta del governo Pella fiancheggiato dalle destre.
È alla luce del primo documento che l’a. ricava la falsità delle altre lettere, attribuendone
la fabbricazione alla rete neofascista che promosse il «plebiscito» di oltre duecentomila
firme contro la carcerazione di Guareschi, «la più grande operazione propagandistica
mai allestita dai neofascisti nel decennio postbellico» (p. 122). All’a. sembrano sfuggire,
tuttavia, le premesse non genericamente «antiresistenziali» di quella campagna contro
l’ultimo De Gasperi. Fu questa la reazione alle contromisure costituzionali («legge Scelba
» contro la ricostituzione del partito fascista) ed elettorali (riforma maggioritaria) con
le quali il centrismo degasperiano, fuori dall’unità antifascista, aveva tentato di bloccare
il Movimento sociale italiano. Nel rifiuto di tali sbarramenti convergeva il moderatismo
guareschiano, che rifletteva la delusione dell’elettorato anticomunista (di cui il creatore di
Don Camillo era stato geniale interprete nel 1948) e il suo «voltafaccia» dalla DC ai partiti
di destra nelle elezioni del 1953. Ciò spiega anche l’esposizione di Guareschi nella «trappola
» dei falsi degasperiani fino agli estremi della detenzione e di un «dramma umano e
artistico» (p. 217) che lo scrittore non sarebbe più riuscito a superare.
Qualche altra ipotesi, infine, meriterebbe l’iniziativa giudiziaria di De Gasperi contro
il direttore del «Candido», forse influenzata dalla coincidenza della «perfida e torbida campagna
» (come il primo la definì in una lettera inedita a Giuseppe Spataro del marzo 1954)
che trascinò nell’«affare Montesi» il democristiano Attilio Piccioni. Il sospetto di una diffamazione
concentrica, alimentata per condizionare la successione nella Dc (anche dal suo
interno?), convinse De Gasperi che la verità andasse difesa e ristabilita processualmente