Diaspore, migrazioni e “displaced people” nel bacino del Mediterraneo ed oltre
(secoli XIX-XXI)
Nell’ultimo scorcio del XX secolo l’intero sistema dei rapporti internazionali è stato attraversato, sul piano politico e più ampiamente culturale, da tensioni e dinamiche contrastanti: da un lato la formazione di reti globali di comunicazione e di scambio, il diffondersi di modelli culturali potenzialmente universali e omologanti; dall’altro l’estendersi e il radicalizzarsi dei conflitti etnico-religiosi su base regionale, l’intensificarsi del sentimento di appartenenza a culture separate, minoritarie o confliggenti con le culture dominanti all’interno di più larghi contesti nazionali ed internazionali (M. Featherstone, 1990, R. Robertson 1994).
In tale scenario l’esperienza delle culture diasporiche possiede un valore analitico cruciale sul piano dell’interpretazione storica e su quello, più concreto, dell’analisi socio-politica e della messa a punto di adeguati strumenti d’intervento nei contesti di crisi. Storicamente parlando le diaspore si presentano come il prodotto di forme di de-radicamento, volontario o involontario, violento o non violento di gruppi di popolazione. Non sempre tuttavia le migrazioni di uomini e donne attraverso i confini nazionali– siano esse forzate o volontarie – evolvono in forme culturali e sociali riconducibili all’esperienza diasporica. Le diaspore -ha osservato l’antropologo James Clifford- si definiscono parallelamente, e talora contro, le norme che reggono gli stati nazionali e i diritti rivendicati dai popoli autoctoni ( J. Clifford 1994). Un processo che alimenta altresì un tipo di identità e di autocoscienza che può esistere solo in termini relazionali, un’identità che è, nell’interazione, congiungimento e separazione. Le culture diasporiche lavorano infatti per mantenere in vita le comunità di origine conservando selettivamente alcuni elementi distintivi. Esse recuperano la tradizione negoziandone i contenuti all’interno di contesti conflittuali, socialmente e culturalmente nuovi . Questa particolare accezione dell’esperienza diasporica, assunta come categoria analitica, è un mezzo per comprendere l’evoluzione nel tempo dei rapporti fra culture minoritarie, delocalizzate o migranti e i sistemi sociali e statuali complessi. In questo senso l’uso della nozione antropologica di diaspora consente di esplorare la storia dei gruppi di minoranza, la natura dei movimenti migratori in termini storico-culturali e non puramente quantitativi, economici o demografici, analizzando l’evolvere dei sistemi normativi, dei rapporti politici, delle pratiche sociali e culturali che definiscono i limiti e i caratteri delle comunità diasporiche.
Le diaspore si presentano come una pluralità di “casi”, di formazioni culturali e sociali che sperimentano differenti percezioni ed elaborazioni della propria storia e memoria, differenti percorsi di integrazione o di esclusione, irriducibili a un modello unico di relazioni con lo Stato che attraverso la produzione di norme ne governa l’esistenza. Le “comunità dell’esilio” – secondo la definizione di William Safran ( Safran 1991) – vivono una condizione minoritaria all’interno di contesti maggioritari ritenuti quasi sempre discriminanti. Tali comunità sarebbero definite dalla consapevolezza di formare un gruppo separato , caratterizzato da un’origine comune, territoriale ed etnico-culturale. La condivisione di un patrimonio di memorie, di miti e rappresentazioni simboliche legato a all’idealizzazione di una “terra madre” e all’elaborazione di un’ideologia del “ritorno” – tipica ad esempio della cultura ebraica – sarebbe un elemento dirimente per la definizione di un gruppo diasporico E tuttavia esistono ,assumendo una prospettiva il più possibile ampia, casi di gruppi etnico-religiosi già radicati sul territorio, di comunità di migranti e di aggregati sociali e culturali per i quali la nostalgia della la terra madre non ha coinciso con la rivendicazione , immaginaria o concreta, del diritto al “ritorno” o all’edificazione di un proprio stato nazionale, per il semplice fatto che uno stato nazionale a cui tornare esiste già ( è il caso ad esempio delle cosiddette “trade” o “labour diasporas”)
Il bacino del Mediterraneo si configura, sulla scorta di tali considerazioni, come un campo di tensione che riveste, sul piano storico e geo-politico, un’importanza strategica. Luogo di molteplici attraversamenti, in termini culturali, politici e sociali, sperimenta al suo interno il prodursi di opposte tensioni: la spinta verso la creazione di società multiculturali e multietniche – più evidente nelle metropoli europee che mutano ora caratteri e funzioni per diventare “città globali” (R.Cohen 1997; Sassen-Kobb 1990) – e il simultaneo rinnovarsi di pratiche di esclusione e discriminazione che sono esito di conflitti recenti, di politiche autoritarie e di una storia pregressa di scambi e di contrasti. Tensioni potenzialmente destabilizzanti, sul piano politico e sociale, per l’equilibrio dei sistemi nazionali e sovranazionali che richiedono l’odierna elaborazione di nuove strategie d’integrazione, di sviluppo e cooperazione.
Nello “scontro di civiltà” che oggi oppone una parte dei governi occidentali (e porzioni non esigue delle opinioni pubbliche di quei paesi) e un numero consistente di paesi islamici si perde la memoria dei contatti, delle ibridazioni, della trasmissione di un sistema di riferimenti culturali che accomuna specialmente nel bacino del mediterraneo, la cultura europea di matrice cristiana, il mondo arabo e le comunità ebraiche (Arkoun 1986, 1994). Le continue migrazioni – spontanee o forzate – di uomini e donne hanno segnato la storia del mediterraneo, tracciando e cancellando confini, modellando identità particolari e separate, modificando per ibridazioni successive la cultura di appartenenza e la cultura “ospite”. L‘intensificarsi, negli ultimi decenni, dei movimenti migratori e delle reti di scambio, ha prodotto una sorta di moltiplicazione delle diaspore – intese come fenomeno di de-territorializzazione delle identità sociali e culturali, come sistemi orizzontali di organizzazione sociale – una proliferazione di identità subnazionali e transnazionali che i sistemi statuali di ascendenza ottocentesca faticano a fronteggiare (R. Robertson 1994).
In tal senso la discussione scientifica sulle diaspore contemporanee solleva questioni più generali che riguardano i fondamenti stessi della cittadinanza : la tutela delle minoranze all’interno degli stati nazionali, la condizione giuridica dei rifugiati , la dialettica, sul piano sociale e culturale, tra identità e integrazione, tra omologazione e distinzione. In questo quadro conflitto, integrazione e identità (nei termini in ci essa esprime e tende a riprodurre la differenza) sono concetti e percorsi ineludibii che danno vita, escludendosi o combinandosi fra loro secondo modalità e dosaggi diversi, ad esperienze storiche molteplici. Per tali ragioni , nel progettare questo incontro, intendiamo presentare, confrontare e discutere una pluralità di esperienze riferibili a differenti contesti regionali, culturali e storico-temporali. Il panel si propone dunque di riflettere sui caratteri e sul ruolo delle culture diasporiche- nei termini in cui sono state qui approssimativamente definite- all’interno dei contesti nazionali e sovra-nazionali nei quali tali culture agiscono. Esaminando possibilmente gli esiti – politici, sociali e normativi- che scaturiscono dal confronto tra culture minoritarie e trans-nazionali e i sistemi nazionali di governo e di controllo, sia economico che politico e militare.
In base a tali considerazioni le diaspore oggetto di questo seminario rispondono a un criterio più ampio di classificazione tipologica che valica, necessariamente, i confini geografici del Mediterraneo. La definizione, molto larga, include i gruppi di minoranza e le comunità di migranti.
Note bibliografiche al testo
M. Arkoun, Islam, Erope, the Occident: cultural identities and geopolitical strategies , in K. Von Benda-Beckam, M. Verkuyten ( a cura di ), Nationalism, ethnicity and cultural identity in Europe, ERCOMERm, Uthrecht, 1995; id. L’islam, morale et politique, Paris, 1986
J. Clifford Diasporas, in Cultural Anthropology, September. 2, pp. 303-338,1994
R. Cohen, Global Diaspora: An introduction, London, 1997
M, Featherston ( a cura di ), Globa culture: nationalism, globalization and modernity, London 1994
R. Robertson, Globalization: social theory and global culture, London 1994
S. Sassen-Kobb, The global city, Princeton 1990
W. Safran, Diasporas in modern societies: myths of homeland ad return in Diasporas,1, 1991, pp. 83-99
English version
Toward the end of the XX century the whole system of international relationships was crossed, on the political and cultural ground, by opposite forces: on one side we observe the formation of global communications and exchange networks that favoured the spread of cultural models potentially coercive and homogeneous; on the other side we are facing the widening and the radicalization of ethnic-religious conflicts on regional basis, the strengthening of the sense of belonging to separate, minority cultures in conflict with the values of the dominant cultures within the larger, national and international, contexts .
In that scenario the experience of diasporic cultures has a crucial analytical value.
As the migration of people and cultures across national borders has accelerated, the interdisciplinary field of the diaspora studies can provide a more sophisticated tool to investigate the structural features of such movements. Not all migration can be considered diasporas, nevertheless the term remains fluid, dealing with voluntary migration (for example trade or labor diaspora and trans-national business or labor networks) and exile. Historically speaking, diasporas are the product of de-rooting processes, voluntary or involuntary, violent or non-violent. The diasporas are also defined in parallel, or against, the norms that rule the national State and rights claimed by native populations (J Clifford 1994). Those communities could be defined by the self-consciousness to be a separate group, characterized by common territorial and ethnic origin sharing a legacy of memories, myths and symbolic representations linked to the idealization of a “mother land” and the elaboration of and ideology of the “return” (W. Safran, 1991). Diasporic culture therefore works to keep communities alive, selectively preserving some element of tradition and facing, at the same time, a continuous process of negotiation and adjustment within different system of values and new political and social context .
Based on such considerations, the Mediterranean area -place of multiple crossing, in cultural and social terms- is configured as a field of tension that acquires, on the historical and geo-political ground, a strategic relevance. The Mediterranean countries experience within themselves the producing of contrasting dynamics: a drift towards the creation of multicultural and multiethnic societies -more evident in the European metropolis changing characters and functions to became “global cities” (R.Cohen 1994; S.Sassen-Kobb 1990) – and the simultaneous renewal of exclusion and discrimination practices stemmed from recent conflicts, labour migrations, authoritarian politics and a long story of exchanges and contrasts. Those tensions, acting on the political and social side, could become disruptive for the integrity of the nation-states and the stability of international political balance. That kind of global and conflicting pressure now requires an elaboration of new strategies of integration, of development and cooperation.
Memory of contacts and cultural exchanges which connected the Christian Mediterranean societies to the Muslim and Jewish cultures is lost in the “civilization clash” that today opposes some western governments (and not negligible segments of the public opinion of those countries) to a consistent number of Islamic countries (M. Arkoun 1986, 1994). On the contrary, the continuous migrations –forced or volunteer- of women and men shaped the history of the Mediterranean area, by changing and cutting borders, by modeling specific and separate identities and, at same time, by modifying, through subsequent cultural contaminations, the diasporic and the “host” cultures. Nevertheless the intensifying, over the last decades, of the migration movements and of the exchange global networks, produced a sort of multiplication of diasporas -in terms of de-localization of people, cultures and human (yet economical) activities- a proliferation of subnational and transnational identities that the nation-states find hard to deal with .
In this sense, the use of the anthropological notion of diaspora allows to investigate deeper and more extensively the history of minority groups and displaced communities, the character and development of the migration movements and its relationships with the formation of national and global system (political, cultural and economical). The scientific debate around diasporas and floods of people across borders intersects some crucial issues such as democratic rules and citizenship, refugee status, ethnic nationalism and global economy
The diasporas -as the minority groups with which they almost always overlap- present themselves as a plurality of “cases”, of ethnic, social and cultural communities that experiment different perceptions and representations of their own past (and of their own future), different paths of integration or exclusion irreducible to a single model of relation with the State that, by producing norms, govern their existence. This meeting would like to explore the history and the changing role of diasporic cultures related to the historical, political and social processes that crossed the national and supranational contexts where those cultures acted.
We also hope to open the discussion to the political and social questions that now emerge from the confrontation between minority or trans-national cultures and national systems of government and control, at the economical and geo-political level. In the analysis of such process conflict, integration and identity (in terms by which identity expresses and reproduces the cultural and social difference) are ineludible concepts and paths that give birth, by excluding or combining themselves in different ways, to multiple historical experiences. For that reason in thinking this meeting we would like to present, confront and discuss a plurality of experiences, related to different regional, cultural and political contexts.
However, assuming a wider historical perspective there are cases, beyond victim or refugees people, of ethnical-religious groups that are mainly integrated or already rooted in a territory, migrants communities in which memory or homesickness does not coincide with a claim, real or imaginary, of a right to “return”, or to the building of their own national state. Based on such considerations the diasporas, subject of this meeting, correspond to a wider criterion of typological classification and, at the same time, cross the geographical borders of the Mediterranean basin.
References
M. Arkoun, Islam, Europe, the Occident: cultural identities and geopolitical strategies, Von Benda-Beckam, M. Verkuyten (eds), Nationalism, ethnicity and cultural identity in Europe, Utrecht, 1995; id. L’Islam, morale et politique, Paris, 1986
J. Clifford, Diasporas, Cultural Anthropology, 1994, p. 302-338.
R. Cohen, Global Diasporas: An Iintroduction ,London, 1997.
M. Featherston (eds), Global culture: nationalism, globalization and modernity, London, 1994.
R. Robertson, Globaization:social theory and global culture London 1994.
W. Safran, Diasporas in modern societies: myths of homeland and return, Diasporas, 1991, p. 83-99.