La mancata ricostruzione del quadro generale dei rapporti tra militari e fascisti, degli effettivi rapporti tra comandi e squadre d’azione, della complessiva partecipazione di ufficiali effettivi ai fasci locali, ha rappresentato a lungo una lacuna nel panorama storico dell’Italia tra 1918 e 1922. La poca letteratura dedicata all’esercito dopo
la Grande Guerra non ha superato spesso i limiti di un’analisi tecnica degli ordinamenti, della cultura professionale in senso stretto o della dottrina. Gli aspetti del coinvolgimento dei militari di professione nella lotta politica, dell’opinione pubblica militare, delle aspettative, psicologiche create all’interno del corpo ufficiali dalla Vittoria, sono stati sovente trascurati, o accennati facendo riferimento a poche opere di memorialistica comunemente note. Non si può invece comprendere pienamente la crisi dell’Italia liberale senza ricostruire nel dettaglio il processo di scollamento tra potere politico e militare, conseguenza della progressiva politicizzazione dell’esercito, ma anche di un processo di profondo discredito della dirigenza liberale all’interno delle caserme, che precede l’avvicinamento tra società militare e movimento fascista. In questo intervento ripercorrerò le linee fondamentali di un progressivo spostamento del baricentro culturale del potere militare, da una rivendicata a-politicità, caratterizzante un tradizionale lealismo monarchico, alla spiccata propensione di alcuni segmenti del corpo ufficiali nel primo dopoguerra ad assumere direttamente responsabilità nella vita pubblica, allo scopo di arginare il successo di alcuni attori della politica e favorirne altri (come il fascismo) più affidabili dal punto di vista di una strategia “patriottica”.