Le missioni archeologiche europee lungo le coste del Mediterraneo orientale e meridionale si infittirono nel corso dell’Ottocento. Potente strumento di conoscenza e traduzione di culture altre e distanti, lo scavo sistematico di ampi territori divenne allora strumento utile a rendere conoscibile l’ignoto, e a “costruire” scientificamente un campo di sapere e uno spazio (il Mediterraneo) in vista di peculiari politiche imperialiste e coloniali. La relazione indaga l’attività archeologica di alcuni paesi (Francia, Gran Bretagna, Germania) analizzandone i risvolti politico-ideologici, e chiarendo il ruolo dello Stato-nazione nella definizione e sviluppo di una pratica conoscitiva volta a identificare uno sfuggente “Oriente”. L’intervento si concentra poi sulle vicende italiane e sugli esercizi d’identità attivati dall’archeologia italica, mostrando la complessità dei processi messi in moto dalla stessa archeologia e le sua capacità di promuovere forme di potere specifiche.