Viviana Rossi
La mia idea è quella di raccontare cosa accade dopo il 1995 nella Krajina, uno dei tanti luoghi di conflitto della vecchia Jugoslavia. Qui si trovano gruppi di nazionalità diversa (serba e croata) con una continuità di relazione e con modalità di sussistenza che regolano e gestiscono la diversità “etnica”. La violenza (con a monte la sua costruzione politica) innesca dei processi di sradicamento e di dispersione che sgretolano il sistema sociale e civile.
Ci saranno due prospettive un po’ diverse: una locale, che prenderà in considerazione la valle di Plavno e Knin (la città più vicina, a venti chilometri dal confine con la Bosnia) e l’altra, più ampia, si riferirà all’intera Krajina. Ci sarà una violenza con un nome ben preciso: Oluja, che significa tempesta e rapprensenta l’azione militare di riconquista della Krajina da parte dell’esercito croato, nell’agosto del 1995. Oluja sarà lo spartiaque della nostra ricostruzione, ma soprattutto delle storie di vita di cui parlerò. La ricostruzione dei movimenti di persone e famiglie così come quella più ampia dei flussi di profughi che si spostano sul territorio della vecchia jugoslavia nel 1995 e negli anni successivi (i flussi di rientro), ci permette di confrontare gli stessi luoghi prima e dopo Oluja, dove le persone, la struttura demografica della popolazione e le modalità di interazione tra i diversi gruppi, sono cambiate completamente.
Il tentativo è quello di separare il discorso ideantitario dal suo uso politico per leggere la contraddizione tra una politica di nazionalizzazione e di rifondazione dello stato croato basata sull’omogeneità “etnica” e la realtà di una frammentazione sociale che rende più complessi e conflittuali i contesti sociali locali.