Barbara Armani
Gli ebrei moderni, nella definizione di Herbert Gans, formerebbero un minoranza religiosa con caratteristiche etniche e secolari. La definizione , apparentemente convincente, non spiega come mai, malgrado l’attenuarsi dell’imperativo religioso, la debolezza dei legami organizzativi, la varietà degli orientamenti culturali e politici si mantenga nel tempo il senso di un’identità comune.
Guardando l’evoluzione delle comunità ebraiche contemporanee ne cogliamo infatti lo “scarto” realizzando al tempo stesso l’inadeguatezza dei mezzi investigativi di cui dispone lo storico per individuare e definire gli elementi generativi della “differenza”. Muovendo da questo disagio il mio intervento si organizzerà intorno a una domanda che mi sembra cruciale: in assenza di forze esogene marcatamente ostili o coercitive e di un sistema coerente di vincoli formali e religiosi rigidamente prescrittivi, attraverso quali meccanismi e per quali ragioni un insieme disperso di individui opera, si percepisce ed è percepito dagli altri come gruppo distinto? La storia della diaspora ebraica fra otto e novecento evoca un nodo storiografico importante, all’incrocio fra storia politico-culturale, antropologia e storia sociale: quello della stabilità nel tempo di identità minoritarie legate a pratiche sociali e forme di razionalità “devianti”, e all’apparenza marginali , rispetto al prevalere di modelli culturali e normativi universali e potenzialmente omologanti. Modelli che sono tipici della “modernità” post-illuminista, ugualitaria e liberale che ha fatto da sfondo all’emancipazione, disegnando i confini di una nuova cittadinanza cautamente rispettosa dei diritti individuali ma ostile al mantenimento dei diritti “particolari” di corpi “altri” (compresi quelli religiosi) sussunti e mediati nel corpo “legittimo” della nazione. Oggetto del mio intervento e l’esito (o uno degli esiti possibili )di tale processo: ossia la revisione dell’idea di appartenenza e dei confini culturali entro cui essa si definisce, revisione che modifica il nesso fra religiosità e formazione dell’identità collettiva spostando l’enfasi sulle radici latamente “etniche”, emotive e genealogiche della costruzione identitaria.