Franco Amatori e Pier Angelo Toninelli
Nel paper si discuterà delle diverse valenze connesse al termine fattore residuo con cui si propone di identificare l’esperienza storica dell’imprenditorialità italiana.
Innanzitutto si farà riferimento alla nostra storiografia economica e sociale che fino agli anni Settanta ne ha praticamente ignorato il ruolo e il contributo allo sviluppo economico della penisola (al più un residuo che non meritava particolare approfondimento), privilegiando invece fattori quali lo stato, le istituzioni o le componenti strutturali. La successiva storiografia mostrerà invece la rilevanza di quel contributo, che può essere stato anche negativo o a somma zero, ma in ogni caso nient’affatto trascurabile nella spiegazione dell’evoluzione del quadro e sociale.
In secondo luogo il riferimento Ë alla teoria economica e, in particolare, alla funzione di produzione, ma in una duplice, per certi versi ambigua, accezione: nel mainstream con residuo si intendeva inizialmente ciò che era residuale, ovvero ciò che non poteva essere spiegato (misurato) con i tradizionali strumenti dell’economia; la verifica empirica successivamente ha mostrato che tale porzione della crescita, non quantificabile tout court, ha assunto nell’ultimo secolo una dimensione sempre più ampia, tanto da richiedere continui ulteriori affinamenti teorici.
L’assimilazione dall’imprenditorialità italiana al fattore residuo dei modelli della crescita vuole evidenziare la difficoltà di sciogliere quella ambiguità in relazione al contributo che essa ha effettivamente offerto – nelle sue diverse espressioni: piccola, media o grande; concentrata, diffusa o flessibile; pubblica, privata o mista – alla trasformazione e modernizzazione dell’economia e della società del paese.