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Forme della memoria femminile: autorappresentazione, silenzi e costruzioni di fonti

Linda Giuva

Linda Giuva

Ricercare ed incontrare la presenza del soggetto femminile (il problema delle fonti) significa misurarsi/scontrarsi con i confini documentari stabiliti dalle istituzioni che hanno prodotto archivi. L’analisi dei processi di accumulazione della documentazione pubblica moderna e contemporanea va condotta esaminando i caratteri dei luoghi della produzione documentaria (natura e azione dello Stato) ma anche i meccanismi che hanno determinato le modalità di trasmissione e sedimentazione della stessa (selezione, manipolazione nonché influenza esercitata nella costruzione dei “monumenti” archivistici dalle scelte storiografiche). In altre parole, è l’asimmetria che caratterizza la posizione delle donne rispetto al potere (Buttafuoco) a determinare la quantità e la qualità dei documenti. L’esclusione delle donne dalla scena pubblica (la cittadinanza) non ha significato, comunque, un’assenza totale nelle fonti. Soprattutto per il periodo moderno, la presenza delle donne è rintracciabile prevalentemente nella documentazione prodotta da istituzioni domestiche (la famiglia) e separate (i conventi); mentre gli archivi delle istituzioni che elargivano assistenza e beneficenza, gli archivi giudiziari e quelli di polizia conservano le tracce di vite individuali o di esperienze collettive vissute o subite dalle “donne in oggetto”.
Il panorama documentario per l’Ottocento ed il Novecento si complica in seguito all’emergenza di presenze, individuali e organizzate, che hanno una loro più precisa ed autonoma fisionomia e che si caratterizzano attraverso spazi e strumenti originali, progetti, relazioni determinate con lo Stato e con la politica. Il rapporto tra documentazione statale e non statale diventa centrale ed un’attenzione particolare va data ai meccanismi che definiscono le forme dell’autorappresentazione femminile attraverso l’accumulazione documentaria.