Gianni Perona
Si può iniziare la discussione con una domanda: l’adozione di un determinato modello esplicativo è sufficiente a legittimare incursioni nel terreno protetto dalle norme relative al diritto di privacy? La biografia si offre qui come un campo di elezione: se il modello esplicativo adottato dal ricercatore include chiavi di lettura psicologiche e/o psicanalitiche, egli si troverà costretto a indagare a fondo sulle questioni sessuali e sulle relazioni interfamiliari. E se supponiamo che l’archivista eserciti un diritto di veto sull’accesso a certe informazioni, in questo caso il detentore delle fonti può condizionare non solo l’informazione, ma la struttura stessa della ricerca. Casi di meno chiara interpretazione si pongono certo per altri generi storiografici, ma tutti si riconducono a un solo nodo: deve essere l’archivista, in ragione della detenzione dei documenti, a giudicare la liceità del loro trattamento? E che titoli ha l’archivista per fare ciò più legittimamente dello storico, o di altra autorità scientifica o morale?
L’esercizio intellettuale circa il diritto di ogni attore a prendere decisioni morali a tutela o a danno di terzi dovrebbe insomma essere praticato per modificare il dibattito. Non si tratta d’immaginare un partito interessatamente libertario degli storici in contrapposizione a una supposta setta repressiva degli archivisti. Siamo però forse ancora lontani, anche in materia di deontologia storiografica, dall’aver chiarito delle norme relativamente obiettive e trasparenti, che le due parti possano rispettare di comune accordo, e non per delega dell’una (gli storici) all’altra (gli archivisti).
Qualche attenzione meritano anche gli aspetti giuridici. Limitiamoci a un esempio. Poca attenzione si è posta in Italia alla novità giurisprudenziale creata in Inghilterra dalla sentenza in favore della storica Deborah Lipstadt nel processo per diffamazione intentatole da David Irving. La legge inglese in materia è infatti così pesantemente favorevole alla parte lesa, che la giurisprudenza britannica ha visto normalmente gli scrittori perdenti. Simili questioni sono rilevantissime per il nostro argomento, perché non si è affrontato, finora, se non il rapporto fra lo storico che chiede e l’archivista che concede. Ma cosa succede per quanto riguarda i terzi? L’aver operato in un quadro di deontologia reciprocamente accettata è tutela per il ricercatore? o no? E la motivazione epistemologica dell’indagine, a quale livello di priorità si colloca rispetto all’insieme dei diritti di privacy?