Dino Mengozzi
Il tema va inserito nel complesso fenomeno della costituzione della società laica e del successivo ”disincanto”, in cui la politica ha rappresentato una nuova sfera di sacralità, secondo il paradigma ideologico delle religioni secolari. In questa ipotesi di lettura, il transfert di sacralità dalla religione tradizionale alla politica moderna sembra attuarsi, in primo luogo, attraverso la gestione della morte e dell’immortalità laica. Una ”metafisica” legata al corpo e alla natura, compatibile perciò con l’orizzonte mondano dei razionalisti. La relazione vuole ripercorrere alcuni momenti delle rappresentazioni e pratiche elaborate dai partiti laici, in materia di immaginario, nonché di ”folklore” e di ”superstizione”, che hanno interessato un po’ tutta l’Europa, ma che in Italia hanno marcato fortemente il periodo che va dalla ”rottura” napoleonica fino alla Grande guerra e oltre. La classe dirigente liberale prima e quella democratico-liberale, in seguito, hanno segnato su quei parametri l’urbanistica (cimiteri, igiene) e la diffusione di un ideale eroico di vita (culto del grand’uomo, monumenti, toponomastica, necrologi), che ha nutrito l’anticlericalismo, ma anche un’esigenza di spiritualità, divenuti aspetti costitutivi del ”discorso” politico sul lungo periodo. Attraverso la gestione della morte i democratici hanno, infine, dato fondamento a norme morali autosufficienti, una ”raccomandazione” ai comportamenti degli adepti e forza emotiva alla propaganda. Declinata da una varia ritualità (funerali militanti, elogi e feste funebri), questa politica rispondeva, infine, a una doppia esigenza: resisteva al ”disincanto” – mediante la riaffermazione della dimensione retorica e dogmatica ñ e immetteva i ceti popolari nella ”cittadinanza”.
(relazione)