Alcune considerazioni
di Peter Hertner
L’Ottocento vede nelle università tedesche – e anche in quelle austriache e svizzero-tedesche – l’istituzione graduale di un regime sempre più unificato per la qualificazione e la selezione del personale insegnante. Questo regime è in seguito diventato più dettagliato e differenziato ma le sue grandi linee sono valide ancora oggi, all’inizio del secolo ventunesimo.(1) Vale dunque la pena seguirlo nella sua evoluzione storica.
Nel processo di professionalizzazione che caratterizza gran parte dell’Ottocento furono introdotti in Germania, come in tanti altri stati europei, esami statali per le professioni per le quali lo Stato era l’unico o il più importante datore di lavoro (insegnamento scolastico, materie giuridiche), o per le quali vi era una richiesta di qualità garantita dell’insegnamento per ragioni di interesse pubblico (medicina, farmacologia, scienze forestali ecc.). Il dottorato in queste materie, per il quale si doveva sacrificare tempo in più per scrivere una tesi, fu un optional; non diventò mai una condizione per essere ammesso al servizio statale – anche se in una società avida di titoli come quella guglielmina, ma non solo in quella, il titolo di dottore poteva servire. C’erano poi materie senza immediati sbocchi professionali o nelle quali lo Stato non era il principale datore di lavoro, come per esempio archeologia, storia dell’arte, scienze naturali, ma anche storia tout court, dove – se qualcuno non voleva diventare insegnante liceale – il dottorato era l’unico punto di arrivo.
Chi sceglieva invece una carriera universitaria doveva obbligatoriamente passare per il dottorato come prima tappa; la seconda era poi la cosiddetta Habilitation che dava il diritto di insegnare in una facoltà universitaria, senza però garantire un posto fisso in uno degli atenei. Solo per gli ingegneri formati nelle nuove Technische Hochschulen fu fatta un’eccezione: per loro, ai quali si chiedeva comunque un contatto più stretto col mondo “reale”, e dunque normalmente alcuni anni di attività passate all’interno delle imprese, si accettò che bastasse il titolo di Dr. ing, una Habilitation non fu ritenuta necessaria. In tutte le altre materie, salvo per la medicina, bisognava – incominciando gradualmente dalla metà dell’Ottocento – normalmente presentare per la Habilitation un lavoro scritto, frutto di ricerche originali, su una tematica diversa da quella della tesi di dottorato, e qualitativamente e quantitativamente più consistente di quel primo lavoro. La tesi di Habilitation (Habilitationsschrift) veniva giudicata da una commissione di membri della Facoltà, e la stessa commissione, presso la quale il candidato aveva chiesto di sostenere la Habilitation, proponeva poi alla Facoltà di attribuire al candidato la venia legendi e il titolo di Privatdozent. Una volta diventato Privatdozent il giovane, o non più tanto giovane, studioso aveva l’obbligo di dare un minimo di insegnamento nella sua Facoltà, insegnamento miseramente pagato per tanti decenni dai pochi soldi che ognuno degli studenti doveva versare per ogni lezione o seminario frequentato, oltre alle tasse di iscrizione. Se un’altra Facoltà nel paese – ma anche in Svizzera o in Austria (o viceversa) – aveva un posto di professore ordinario o associato libero (nuovo o liberato dal precedente detentore) poteva “chiamare” uno dei Privatdozenten. Normalmente faceva un elenco di tre nomi, scelti fra i candidati selezionati (non c’era allora l’obbligo di pubblicare un avviso per un posto vacante su certi quotidiani come si usa fare oggi), che inviava al Ministro dell’istruzione del rispettivo Land (in Germania le università sono sempre state amministrate dai Länder e non dal Governo federale o prima imperiale). Il Ministro poteva scegliere uno dei candidati inseriti sull’elenco, ma era sottinteso che normalmente avrebbe preso il primo della lista. Solo se chiamato ad un posto di professore, il Privatdozent diventava funzionario di Stato, inamovibile e con un salario regolare e garantito. Dalla fine dell’Ottocento era normalmente escluso che un Privatdozent o un professore associato (ausserordentlicher Professor) potesse avanzare di grado all’interno della stessa università. Per fare carriera bisognava cambiare luogo. Così si evitava che i membri della propria Facoltà dovessero decidere sulla carriera di un collega. Nei paesi di lingua tedesca era del resto abbastanza frequente che anche un professore ordinario fosse chiamato in un’altra università, magari più grande e prestigiosa. Ogni cambiamento era accompagnato, entro certi limiti, da un aumento di stipendio e un miglioramento nelle altre condizioni di ricerca e insegnamento (numero di assistenti, fondi per libri, viaggi scientifici e progetti di ricerca).
Il sistema qui descritto metteva ovviamente i candidati alla carriera professorale sotto una forte pressione politico-sociale, economica e scientifica. Per un vero outsider politico era per esempio quasi impossibile far carriera nella Germania guglielmina. Giovani studiosi sospetti di simpatie socialdemocratiche come per esempio Roberto Michels o Werner Sombart si videro costretti a proseguire il cursus honorum all’estero – nel caso di Michels – o ad aspettare decenni prima di poter fare l’ambito salto dall’Extraordinarius all’Ordinarius, come successe a Sombart. Dal punto di vista scientifico, invece, il sistema sembrava garantire, entro certi limiti, una selezione assai rigorosa.
Per decenni rimase così. Paradossalmente sarà il governo nazista a introdurre posti stabili per i Privatdozenten, i quali dovevano però corrispondere, almeno pro forma, ai requisiti di un regime totalitario e razzista. Dopo il 1945, in un primo tempo non fu cambiata nessuna delle vecchie regole di reclutamento e selezione. Fu la rapidissima crescita del sistema universitario tedesco dalla metà degli anni sessanta – crescita ovviamente del numero degli studenti, seguita da un aumento del numero degli insegnanti, del numero delle università e complessivamente della spesa statale nel settore dell’educazione superiore – a mettere in crisi il tradizionale sistema di reclutamento. Il vecchio sistema, con le sue procedure di “lenta gestazione” di docenti, non poteva più garantire un numero sufficiente di candidati qualificati per tutti i nuovi posti creati in fretta, anche sotto la spinta delle rivolte studentesche del ‘68. Così, per più di un decennio, molti posti di professori furono coperti con candidati – per fortuna ormai anche con candidate, benché ancora molto poche – che avevano sì il dottorato (questa rimaneva in ogni caso la condizione minima), ma non la Habilitation. Il risultato, visto a distanza di tempo, è stato molto vario: accanto a docenti validissimi è entrato anche chi chiaramente aveva approfittato della favorevole “congiuntura” e non vi sarebbe riuscito in altre circostanze. Il metodo formale della “chiamata” non fu cambiato (si introdusse solo, come già detto sopra, l’obbligo della pubblicità per il posto vacante). Come risultato delle “riforme universitarie”, non totalmente identiche per tutti i Länder, furono eletti anche rappresentanti degli assistenti e degli studenti nelle commissioni delle Facoltà per la selezione di nuovi docenti: nella maggior parte dei casi tuttavia la maggioranza dei voti in queste commissioni doveva rimanere ai rappresentanti dei professori. Fu modificata la struttura per facoltà, sostituita quasi ovunque da dipartimenti che raggruppavano ormai solo poche discipline (p. es. storia, sociologia e scienza politica). Ciò significava una maggiore omogeneità; ma restava comunque il fatto che uno storico antico o medioevale aveva sempre la possibilità di dire la sua nella elezione, per esempio, di uno storico economico contemporaneo (se il posto di storia economica era situato in un dipartimento di storia e non in uno di economia).
Dalla fine degli anni settanta la situazione è mutata di nuovo. La “congiuntura favorevole” era passata, l’espansione universitaria essendosi praticamente fermata, e così i posti per nuovi professori scarseggiavano, anche perché le assunzioni cospicue del decennio precedente bloccavano ormai le carriere dei nuovi candidati. La riunificazione tedesca aprì per qualche anno, e soprattutto per i candidati delle discipline umanistiche e sociali provenienti dalle università della Germania occidentale, le windows of opportunity perché nelle università orientali intere facoltà e dipartimenti furono “ricostruiti”, ma anche queste possibilità si chiusero di nuovo verso la metà degli anni novanta.
Intanto si è cominciato a discutere del tradizionale processo della Habilitation, finora sempre in auge, se non de lege, almeno de facto. Si discute anche sulla situazione dei Privatdozenten, titolo abolito negli anni settanta ma successivamente reintrodotto, la cui posizione è di nuovo pressoché la stessa di cento anni fa. Essere Privatdozent nel 2000 vuol dire avere l’obbligo di insegnare almeno due ore alla settimana per semestre senza avere il conforto di un posto fisso e perfino senza la consolazione delle modeste tasse che gli studenti una volta dovevano pagare per ogni lezione, perché nel frattempo queste tasse sono state abolite per garantire la gratuità dell’insegnamento e per non far soffrire troppo le “piccole materie” con pochi studenti. Pochissimi Privatdozenten hanno un posto a vita perché provengono di solito dalla carriera degli assistenti universitari i cui contratti normalmente non eccedono un periodo di cinque-sei anni. Soprattutto nelle materie di scienze naturali la Habilitation viene ormai considerata un ostacolo per una carriera più indipendente e più precoce sul modello degli assistant professors delle università americane. Il governo federale socialdemocratico-verde ha, attraverso il ministro per la formazione, presentato un progetto che prevede l’abolizione della Habilitation e un massimo di tre anni per il conseguimento del dottorato. Non può sorprendere che questa proposta, accompagnata da piani per ridurre il livello medio degli stipendi per poter distribuire dei “premi” ai professori più attivi nella ricerca e nell’amministrazione universitaria, abbia provocato vivissime proteste da parte dell’organizzazione che riunisce la maggioranza dei docenti, il cosiddetto Hochschulverband. A parte i problemi salariali, difficilmente risolvibili nel modo previsto dal ministro federale, è soprattutto il problema dell’abolizione della Habilitation che attira il maggior numero di critiche. Mentre si riconosce che nel campo delle scienze “esatte” un cursus honorum più spedito, con l’introduzione di posti per Juniorprofessoren, abbia senso, lo stesso viene messo in dubbio per le discipline umanistiche e sociali. Lì un secondo lavoro sostanziale, la Habilitationsschrift che del resto corrisponde al secondo libro richiesto per ottenere la tenure nelle università americane, è ritenuto necessario da molti. Da quasi tutti viene inoltre criticato il termine di tre anni per l’ottenimento di un dottorato, soprattutto quando si abolisce allo stesso tempo la Habilitation come ulteriore “ostacolo” nella corsa accademica. Come storici sappiamo che tre anni non bastano nella stragrande maggioranza dei casi per scrivere una tesi basata sulla ricerca di fonti d’archivio.
è probabile che la proposta del governo federale non sia poi realizzata nella sua versione originale perché i Länder insistono sulla loro competenza, garantita dalla costituzione, nelle materie “educative”: almeno i Länder della Germania meridionale, governati dai democristiani, hanno già protestato, non si capisce ancora se per semplice “spirito di opposizione” al governo federale governato dalla coalizione rosso-verde o per autentica comprensione delle conseguenze problematiche di alcune innovazioni proposte.
Tornando al problema di sempre, e cioè se il sistema attuale sia positivo per le scienze umanistiche e sociali, si deve tornare a discutere della situazione dei Privatdozenten. Fino a oggi non è stato minimamente risolto l’eventuale divario tra offerta e domanda: un numero crescente di Habilitationen viene “prodotto” nell’ambito di progetti finanziati con mezzi extra-universitari, e soprattutto dalla Deutsche Forschungsgemeinschaft, l’equivalente del Cnr italiano. Questi candidati in più fanno aumentare la pressione nei concorsi mentre rimane pressoché costante il numero dei posti disponibili nelle università. Il sistema dei concorsi sembra essere un sistema di mercato, ma è un mercato dove l’offerta di lavoro non viene mai adeguata ad una domanda più o meno stazionaria.
Il sistema tedesco è dunque lontano dalla perfezione e pieno di vecchie e nuove problematiche. Comparato col nuovo sistema italiano di reclutamento – se si può parlare di sistema – ha il vantaggio del divieto, almeno de facto, dell’avanzamento di carriera nello stesso posto, e ha quello di poter premiare materialmente la mobilità dei docenti. I problemi di un’università di massa che non riesce più a garantire l’unità e l’interdipendenza tra insegnamento e ricerca mi sembrano però uguali nei due paesi. Da questo punto di vista, anche il raggiungimento di una vera unità europea non cambierebbe un granché.
Universität Halle-Wittenberg
NOTE:
1- Questo breve contributo sviluppa considerazioni già esposte su “Società e storia”, n.37 (1987), pp. 689-691.