Massimo Brutti
Quaderni I/2001
SEGRETI PERSONALI E SEGRETI DI STATO.
Privacy, archivi e ricerca storica
a cura di Carlo Spagnolo
Parte II
Fascicoli e archivi segreti
Credo che il mio compito fondamentale fosse quello di ascoltare dopo avere rappresentato la posizione del Governo, che è di massima disponibilità alle questioni che voi avete posto. La mia personale opinione è che non debba essere distrutto nulla. Dobbiamo studiare insieme le procedure di conservazione con la garanzia che una parte di questo materiale sia sigillato, in modo tale da non dare luogo a manovre o utilizzazioni che sarebbero francamente sgradevoli. perché, in questi archivi, in questi dossier, in questa documentazione che fa parte della peculiare storia dei servizi di informazione e di sicurezza italiani, c’è veramente di tutto, per quel pochissimo che abbiamo potuto vedere quando documenti di quel tipo sono stati depositati nell’ambito di processi penali e quindi sono, in un modo o nell’altro, diventati pubblici. Ricordo che “l’Espresso” ne pubblicಠparecchi all’inizio degli anni Ottanta. Siamo tra l’analfabetismo, la volgarità e la cattiveria; insomma c’è di tutto. E’ quindi un materiale che, credo, sarebbe estremamente interessante per lo storico di domani, purchè sia lo storico di domani. Perchè dentro queste carte ci sono cose che possono essere lesive della onorabilità di qualcuno oppure molto spesso, come dicevo prima, si tratta di pseudoinformazioni, perché vengono costruite. Al Comitato parlam entare, negli anni in cui ne ero membro, è capitato di acquisire da un’autorità giudiziaria delle carte che non erano nell’ archivio del servizio segreto militare, perché non erano state assunte ed archiviate regolarmente. Erano informazioni che venivano raccolte da un ex-capo del controspionaggio, il quale veniva retribuito con pochi soldi per fornire informazioni che a sua volta chiedeva ad un giornalista di quart’ordine. Là dentro ci sono delle cose assolutamente assurde, campate in aria, che però potevano servire come pseudoinformazioni da usare, come segnali da 156 Segreti personali e segreti di Stato lanciare, magari attraverso qualche agenzia addetta a questo scopo. Tutto questo può essere oggetto di analisi, in futuro, naturalmente.
Se mi è consentita qui una valutazione, vorrei che fosse chiaro, penso che lo sia tra gli storici, ma io lo dico un po’ dall’ esterno del vostro lavoro di ricerca, che questa non è la storia dall’Italia; ho sentito richiamare delle formulazioni tipo “la vera storia dall’Italia”, che sono circolate nella pubblicistica politica degli ultimi anni. Sono personalmente convinto che sia utile studiare le vicende di apparati che avevano una finalità istituzionale, ma i cui comportamenti sono stati estranei e talvolta contrastanti con tale finalità , perché i depistaggi che venivano dall’interno degli apparati dello Stato, rispetto alle indagini e ai procedimenti penali per i reati di strage, sono parte di una storia che è giusto ricostruire. Tuttavia io dico che quella non è la vera storia dall’Italia, cioè non è una storia che spiega di più di altre storie, nè che quella storia vale a dimostrare che le vicende istituzionali e politiche del nostro paese sono state, tra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta, quelle di un paese senza democrazia o con una democrazia apparente. Bisogna che sia chiaro, penso che alla maggior parte degli storici sia chiaro, ma lo sto dicendo sotto forma di un giudizio politico con tutta la sommarietà che esso può avere. Deve essere chiaro che la storia dell’Italia repubblicana non è stata questa e che l’Italia non è stata una democrazia falsa, come anche però deve essere chiaro che c’è stata la strategia della tensione, che ci sono state le stragi impunite, che c’è stata deviazione. Noi diciamo ” deviazione” perché significa che ci sono stati comportamenti che sono in contrasto con i principi istituzionali, quando parliamo di “deviazione dei servizi segreti”. C’è stata questa deviazione, ci sono state queste vicende.
Credo che la categoria del “doppio Stato”, che qualche volta è stata impiegata per raccontare questa storia, sia una categoria insufficiente ed inadeguata, per una ragione teorica: perché, se ricordate il libro di Ernst Fränkel 1, l’assunto teorico fondamentale che ne era alla base era l’immagine, non so se lo dico correttamente, di uno Stato semplice, di un centro di comando dal quale un’ unica volontà progettava da una parte l’ordinamento del diritto dell’economia, che era un ordinamento certo, dall’altra l’ordinamento della politica, che era un ordinamento puramente discrezionale e fondato sulla sopraffazione. Il racconto di Fränkel è il racconto dello Stato nazista, nel quale questi due livelli si intrecciano: certezza del diritto, perché secondo Fränkel – che in quel periodo era un marxista abbastanza ortodosso – il capitalismo tedesco aveva bisogno di un ordinamento certo nel diritto dell’economia, mentre invece sul piano della politica, dei rapporti Stato-cittadino, per tutelare meglio i propri interessi avrebbe delegato ad una organizzazione politica tutta fondata sulla discrezionalità . Lo schema del doppio Stato nasce da questo assunto teorico, e non è utilizzabile per rappresentare le vicende di un paese democratico, per rappresentare e raccontare un’ esperienza democratica. Chi ha letto gli scritti di Franco De Felice 2 ricorda che lui suggeriva una diversa categoria per raccontare vicende interne al sistema politico italiano e parlava di “doppia lealt à “. Intendiamoci, nella storia della democrazia italiana non c’è stata una sola “doppia lealtà “; ce ne sono state varie, determinate da quel fenomeno che siamo soliti denominare con una metafora il processo della guerra fredda.
La guerra fredda ha determinato molte delle deviazioni dei servizi di informazione e sicurezza e secondo me anche quelle che richiamava Teodori. Ricordo di aver letto, nelle carte – questo sta nelle relazioni parlamentari, quindi non c’è niente di segreto – raccolte da quell’ ex-capo del controspionaggio di cui parlavo poco fa, un documento in cui era scritto, pressappoco, che “la sinistra democristiana sta per sollevare uno scandalo sull’operato degli esponenti di governo socialisti in materia di cooperazione, bisogna apprestare una contromanovra”. Voi capite bene che tutto questo non c’entra con le finalità istituzionali di un servizio di informazione e sicurezza, è un’altra cosa e tuttavia, alle spalle di una situazione nella quale i gruppi di potere più forti si servono di informazioni riservate o di pseudoinformazioni per combattersi, c’è proprio il sistema politico bloccato dalla guerra fredda. Io oggi, con tutte le imperfezioni del sistema politico italiano, so di non potermi rivolgere ad un funzionario per chiedergli di fare qualcosa di illegittimo, anche se volessi, perché quel funzionario mi direbbe: “No mi dispiace, io non lo faccio perchè tu fra un mese te ne vai e ne viene un altro”. In un sistema politico in cui vi è una ragionevole persuasione che vi sia un’alternanza al governo del paese, i funzionari non deviano, non fanno favori sottobanco agli uomini di governo e quindi alle spalle di quelle deviazioni, anche delle deviazioni che non c’ entravano con i grandi principi della guerra fredda, c’era, a mio avviso, il sistema politico bloccato che nasceva dalla guerra fredda. Quando c’è l’alternanza, o almeno una ragionevole attesa di alternanza, i comportamenti delle burocrazie tendono ad essere ispirati ad un maggiore rispetto delle regole, perché il politico non ha la possibilità di imporre comportamenti che vadano al di là delle regole, mentre ha una maggiore possibilità di imporli quando si sa che sarà sempre lui ed i suoi amici a governare.
Detto tutto questo mi pare che a me non tocchi altro che ribadire l’impegno del governo a condurre, in un rapporto che sia il più possibile trasparente, con la comunità degli storici tutta questa partita che è abbastanza complicata. Io terrei fermo il principio che in attesa della regolamentazione non si tocca nulla, non si distrugge, la regolamentazione deve essere quanto più possibile organica. Per determinare scelte e valutazioni, il principio fondamentale credo che debba essere che esse non possono provenire dagli apparati cui si riferiscono. Ci vogliono commissioni composte da persone che vengono dall’esterno e nelle quali la comunità degli storici deve essere rappresentata. Io credo che su questo noi possiamo trovare un terreno dall’ intesa ed il mio impegno personale è di tenere fermo questo orientamento da parte del governo.
Note
1 E. Fränkel, Il doppio Stato, Torino, Einaudi, 1983.
2 F. De Felice, Doppia lealtà e doppio Stato (1989) ora in Idem, La questione della nazione repubblicana, a cura di L. Paggi, Roma-Bari, Laterza, 1999.