di Biagio Salvemini e Marcello Verga
(dal sito Novecento.org e dalla mail di Antonino Criscione alla lista di discussione sissco@racine.ra.it del 4 marzo 2001)
Cari amici,
invio per conoscenza i seguenti documenti:
1) Lettera aperta al ministro della P.I. sul dibattito intorno ai nuovi curricoli di storia, firmata da 50 docenti universitari di Storia e Scienze sociali;
2) Intervento dei professori Biagio Salvemini e Marcello Verga su “Storici e insegnamento scolastico della storia. E’ consentito discuterne?”, pubblicato nel Forum sul curricolo di storia aperto dalla rivista telematica “Storie contemporanee. Didattica in cantiere” .
Ringraziando per l’attenzione
Cordiali saluti
Antonino Criscione
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Non sono pochi gli storici di professione che producono ‘impegno’ misurandosi sui giornali o in TV sui grandi temi della societý odierna. Meno diffuso sembra l’esercizio dell”impegno’ sul proprio campo disciplinare, sul senso ed il ruolo sociale del proprio sapere, sulle forme concrete della sua trasmissione ed utilizzazione. La discussione accesissima di questi giorni sulla proposta di riforma dei curricoli didattici vigenti nella scuola italiana, unanimemente considerati indifendibili, sembra paradossalmente non smentire tutto questo.
Posto di fronte ad un documento di politica scolastica, da leggere dentro un quadro di opportunitý e compatibilitý e da discutere assumendosi la responsabilitý di proposte alternative, un gruppo di colleghi occupa la scena pubblica trasponendo su questo terreno forme discorsive tipiche dell” impegno’ intellettuale odierno: nei curricoli proposti si anniderebbero rischi gravissimi di “denazionalizzazione”, di “americanizzazione”, di nuovi analfabetismi. Di specifico in questi proclami c’Ë l’individuazione dei responsabili: i pedagogisti ed i didatti che avvantaggerebbero la loro corporazione organizzando, nei corridoi del ministero, agguati contro la professione dello storico e dell’insegnante di storia. L’argine ultimo contro le catastrofi incombenti sarebbe l’insegnamento cronologico dei trienni delle superiori: ecco dunque che andrebbe respinta con ogni mezzo la proposta dell’insegnamento della storia per problemi, a cui il documento della commissione ministeriale allude. Quieta non movere.
Come spalle cosÏ deboli come le due-tre ore settimanali di storia cronologica possano reggere il peso di una simile responsabilitý, non Ë dato sapere. Che il filo della cronologia sia una costruzione, che esso imponga scelte drastiche, tanto pi˜ quando deve essere pensato nel quadro dei tempi e dei destinatari di una pratica didattica, lo sa chiunque abbia a che fare col nostro mestiere. Vari colleghi autori o firmatari dei documenti del fondamentalismo cronologico hanno pi˜ volte lamentato che i tre cicli di cronologia universale attraversati dai loro alunni non evitano la necessitý di un quarto ciclo cronologico universitario, spesso fondato su manuali scolastici. Non viene loro il sospetto che questa forma didattica di eterno ritorno abbia qualche nesso col fatto che la storia sia fra le discipline meno prestigiose e studiate nelle scuole italiane, come le indagini sul campo suggeriscono unanimemente?
Obbiettivo di queste righe non Ë comunque quello di entrare nel merito di queste questioni: il luogo non ci sembra adatto. Qui vorremmo ribadire ciÚ che va faticosamente emergendo anche presso la pubblica opinione, nonostante la rigidissima selezione dei materiali, delle notizie e perfino delle lettere da pubblicare, da parte di molti organi di informazione (Ë vero, amici di Repubblica?): ovvero che l’atteggiamento degli storici e degli insegnanti di storia Ë tutt’altro che unanime nei confronti delle proposte di riforma dei curricoli. E, di conseguenza, vorremmo proporre che si trovino luoghi e forme per affrontare nel merito questioni come queste – decisive per il campo disciplinare della storiografia e direttamente connesse ai corsi di laurea in discipline storiche di primo e secondo livello che in questo periodo si vanno definendo in ciascuna sede universitaria – adottando stili meno declamatori, meno influenzati dai catastrofismi retorici tipici del presenzialismo oggi diffuso.
Si tratterebbe di una pratica della discussione – e di un esercizio della responsabilitý – resa desueta anche a causa delle carenze gravissime delle istituzioni ufficiali della professione e dell’inesistenza di una associazione degli storici italiani. Ma punti di riferimento vivaci non mancano (ad esempio la SISSCO), e alcune occasioni decisive sono ancora davanti a noi. Dopo la firma apposta dal ministro al documento riguardante i curricoli della scuola dell’obbligo, c’Ë ancora da articolare quelli delle scuole superiori, cioË quelli che pi˜ hanno suscitato clamori.
E’ ancora possibile discuterne?
Biagio Salvemini – Universitý di Bari
Marcello Verga – Universitý di Firenze