di Angelo d’Orsi
I NUOVI PROGRAMMI NELLA SCUOLA
(da La Stampa, 8 marzo 2001)
L’intervento di uno studioso serio come Lutz Klinkhammer sulla Stampa di ieri dimostra quanto sia opportuna la mobilitazione di storici che si Ë espressa nel cosiddetto ´Appello dei 33ª contro i programmi di storia nella scuola italiana riformata. Non replico al paragone con la Germania; debbo essere contento se abbattono i secolari platani del quartiere per costruire un parcheggio con megatettoia, perchÈ vengo a sapere che nel quartiere confinante gli alberi affidati alle seghe sono stati sedici anzichÈ otto? Me ne dispiaccio e solidarizzo; ma se il misfatto sotto casa mia non Ë stato compiuto cerco di impedirlo.
Quello che i firmatari dell’Appello stanno cercando di impedire Ë per l’ appunto un ´misfattoª: culturale, pedagogico e, in senso lato, politico: giacchÈ la storia, per dirla con Benedetto Croce, ha un ´ufficio civileª. Le critiche alla commissione ministeriale incaricata dei nuovi programmi (in cui va precisato che gli storici costituiscono una esigua minoranza) sono almeno tre.
1) Una volta guadagnata faticosamente la propria autonomia dalla geografia e dalle altre ´scienze socialiª la storia viene organizzata – lungo il triennio dal 5ƒ al 7ƒ anno – secondo scansioni che pongono sullo stesso piano unitý di studio di ben diverso peso, come ´il Mediterraneo in etý classicaª, ´l’impero mongoloª, ´l’avvento del Cristianesimoª, ´l’Islam e l’ espansione arabaª, l’´Africa subsaharianaª, ´L’Europa medioevaleª. Un malinteso relativismo culturale incapace di operare scelte, traducentesi in un indigesto minestrone mondialista, dalla quale gli alunni usciranno forse pi˜ ´globalizzatiª, ma certo pi˜ confusi e ignoranti, impossibilitati a elaborare strumenti per diventare cittadini del paese Italia e del paese Europa.
2) La ripresa del ciclo cronologico giunge al Novecento, ma propone, in forma confusamente ´tematicaª, una ripresa dell’intera vicenda dell’ umanitý nei tre anni successivi, fuori dell’obbligo, con l’ultimo dedicato al XX secolo. Ma non si esclude di cambiare tutto fra tre anni, specie se l’ obbligo scolastico verrý esteso a 18 anni, in una sorta di rivoluzione permanente i cui effetti non Ë difficile prevedere.
3) Si apre, con i rischi che si possono immaginare (specie in ´Padaniaª) al localismo. Zuppa globale in salsa locale?
Ma il timore di fondo – l’ha osservato fra gli altri Aurelio Lepre – riguarda l’idea che sembra animare i nuovi programmi: che la storia debba produrre ´competenzeª piuttosto che ´conoscenzeª. E dire che nella sua Apologia della storia Marc Bloch, ci ammoniva che il fare storia appartiene non all’´Homo faberª ma all’´Homo sapiensª. Sembra prefigurarsi uno scenario in cui il ruolo della storia sia schiacciato in senso pratico-funzionalistico. E non Ë da escludere che presto o tardi qualcuno ci dica che non c’Ë tempo da sprecare. E che bisogna guardare al futuro, non al passato…