Isabella Zanni Rosiello
Quaderni I/2001
SEGRETI PERSONALI E SEGRETI DI STATO.
Privacy, archivi e ricerca storica
a cura di Carlo Spagnolo
Parte I
Privacy e codice deontologico
Ho seguito con interesse i lavori di questo seminario. Le relazioni e il dibattito che è seguito sono stati certamente interessanti e densi di notizie e informazioni. Ma forse il discorso è stato spinto troppo avanti, senza preliminarmente chiarire determinati aspetti a mio parere importanti. Vorrei perciò riportare per così dire indietro il discorso.
Ammettiamo che un utente si avvicini agli archivi – come si diceva un tempo – per studio, per curiosità o per diletto. Un utente insomma che non sia né di serie A, né di serie B (e con ciò lascio da parte le osservazioni e le distinzioni fatte poco fa al riguardo da Romanelli e da Melis) e che si deve pertanto arrabattare, nell’attesa che venga varato uno specifico codice deontologico, tra la cultura dell’accesso cui ha fatto riferimento Pavone, la cultura della riservatezza richiamata da Carucci, l’autoregolamentazione su cui ha posto attenzione Romanelli e la proliferante legislazione in itinere in più di un’occasione ricordata da Ugo De Siervo. Nell’immaginarmi utente degli archivi, poco edotta sulle problematiche che sembrano appassionare gli specialisti del settore, vado a prendere l’autorevole Grande Dizionario della lingua italiana di Salvatore Battaglia per vedere che cosa viene detto a proposito del termine “deontologia”. Tra le altre cose si dice che “deontologia professionale è il complesso di norme etico-sociali che disciplinano l’esercizio di una determinata professione”. Viene da chedersi: quale è il complesso delle norme che un utente degli archivi deve al momento conoscere relativamente all’accesso e all’uso di documentazione archivistica e che dovrà anche in seguito rispettare, una volta che verrà emanato il codice di deontologia e di buona condotta di cui stiamo oggi discutendo?
Forse, prima di pensare a come strutturare un codice deontologico, sarebbe opportuno chiarire meglio il quadro normativo complessivo entro il quale esso andrà a collocarsi. Dico chiarire, e non definire, dal momento che di norme ce ne sono già troppe e spesso esse si accavallano l’un l’altra o addirittura si sovrappongono ed elidono reciprocamente. E poi si tratta di norme quasi sempre espresse in un linguaggio oscuro e difficile da comprendere. Insomma, a dirla in parole povere, in Italia un cittadino qualsiasi fa fatica a conoscere la quantità delle norme esistenti relativamente a settori specifici, prima ancora di poter verificare se siano bene o male applicate, prima di essere in grado di accettare, opporsi o eventualmente contrastare interpretazioni e prassi che lo riguardano.
Il decreto legislativo n. 281 del 30 luglio 1999 ha introdotto, come è noto, una serie di modifiche alla precedente legge n. 675 del 31 dicembre 1996, comunemente definita “legge sulla privacy”, in accordo a quanto indicato nella relativa legge delega di pari data n 676. Quest’ultima peraltro non prevedeva – lo ha ricordato anche Rodotà – di intaccare o modificare la sfera di competenza del ministero dell’Interno in materia di consultabilità di documentazione contemporanea ritenuta riservata e dei relativi permessi di accesso. La legge 675 è una legge complessa. Come si sa essa ha dato luogo a interpretazioni ottusamente estensive da parte di burocrati e di archivisti e, per contro, a vivaci prese di posizione di archivisti e storici interessati a evidenziare limiti e distorsioni della legge, che, detto per inciso, non teneva conto delle esigenze della ricerca storica. Pongo una domanda: il decreto legislativo n. 281 del 30 luglio 1999 contenente Disposizioni in materia di trattamento di dati personali per finalità storiche, statistiche e di ricerca scientifica, ha davvero completamente rimediato ai limiti e colmato le carenze della legge n. 675 e quindi migliorato le possibilità di accesso alla documentazione archivistica contemporanea da parte di quanti intendano conoscerla e utilizzarla per ricerche storiche?
Credo che la risposta non possa essere positiva. Andrebbe innanzitutto fatto un puntuale raffronto tra la precedente normativa e quella di recente emanata. Prima cosa c’era? C’era il d.p.r. n.1409 del 1963 che agli artt. 21 e 22 disciplinava la consultabilità della documentazione più recente. C’era presso il ministero dell’Interno un apposito Ispettorato che rilasciava “permessi” relativamente a documentazione non liberamente consultabile. Questo Ispettorato, dopo l’emanazione della legge n. 675, era andato peraltro manifestando un atteggiamento sempre più “protettivo” – come ha detto di recente un suo componenente – riguardo l’esercizio del diritto alla privacy da parte dei singoli; aveva cioè esteso, in modo improprio, a un’ ampia casistica di documenti quanto indicato in tale legge relativamente alla tutela di dati personali. Per contro si andava riducendo l’ambito di esercizio del diritto all’informazione e della libertà di ricerca. Come sappiamo il conflitto/armonia tra diritto alla privacy e diritto alla libertà di informazione e di ricerca, come pure tra il segreto di Stato e la necessaria trasparenza degli organi pubblici, è sempre, e forse non può essere diversamente, in instabile equilibrio/squilibrio.
Ora cosa c’è di diverso? Innanzitutto c’è – come è già stato da altri ricordato – una nuova commissione con funzioni di consulenza nei confronti del ministero dell’Interno; essa dà pareri obbligatori, ma non vincolanti, riguardo le richieste di autorizzazione a consultare documenti riservati. Importante è il fatto che i pareri dati non sono “discrezionali”, cioè diversi a seconda dei diversi richiedenti, ma, quando si tratta della medesima documentazione, sostanzialmente analoghi.
Ma cè anche una certa confusione sul piano normativo. Il decreto legislativo n. 281 del luglio 1999, sopra ricordato, fa riferimento al d.p.r. del 30 settembre 1963 e ne modifica alcuni articoli. Ma il d.p.r. del 1963, e cioè quello che poco fa Claudio Pavone ha citato come la legge fondamentale degli archivi, non esiste pressoché più. Gran parte di questa legge e certamente gli artt. 21 e 22 che che riguardano la consultabilità degli archivi e che quindi ci interessano da vicino sono stati formalmente abrogati. E’ stato infatti definitivamente approvato un decreto legislativo del 29 ottobre 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 27 dicembre 1999 contenente il Testo Unico delle disposizioni legislative in materia dei beni culturali e ambientali che ha assorbito, quasi sempre letteralmente, talvolta con modifiche lievi ma non sempre irrilevanti, il dettato di molti articoli ancora in vigore della legge del 1963 (altri erano stati da tempo modificati o abrogati) 1. Così l’art. 21 (quello che riguarda la consultabilità della documentazione) presente nella legge del 1963 è diventato pari pari l’art. 107 del testo unico, mentre a sua volta l’ art. 21 è stato modificato dal decreto 281 del luglio scorso. Il contenuto dell’ art. 22 (quello che estendeva ad altri tipi di archivi quanto previsto dall’art. 21), è ora diventato, ma con modifiche non irrilevanti, l’art. 108 del testo unico. Si legge sotto l’art. 22:”tutte queste norme si adattano agli archivi correnti e di deposito degli organi legislativi, giuridici, amministrativi dello stato ed agli archivi degli enti pubblici”. Nell’art. 108 del testo unico invece, che ha assorbito il citato art. 22, si afferma che le disposizioni del precedente art. 107 si applicano agli archivi storici degli enti, ma non si fa alcun cenno agli archivi correnti delle amministrazioni dello stato. Vi si legge infatti che: “salvo quanto disposto dalla legge 241/90” (ossia quella che ha disciplinato le norme sulla trasparenza amministrativa) in materia di accesso agli atti della pubblica amministrazione, “è disciplinata con regolamento la consultazione a scopi storici, degli archivi correnti e di deposito delle amministrazioni dello stato e degli enti pubblici”. Sembra dunque che questo tipo di archivi non siano più consultabili, come diceva invece l’articolo 22 della legge 1963; la loro consultabilità è infatti rinviata a una successiva e non si sa quanto lontana regolamentazione.
Ma il massimo della confusione si raggiunge mi pare quando ci accorgiamo che il decreto n. 281 introduce, rispetto alla legge del 1963, un nuovo articolo, cioè un 21 bis (che riguarda il trattamento dei dati personali a scopi storici), mentre nel testo unico esso non c’è; ci sono invece, come abbiamo detto, due articoli, il 107 e il 108 che hanno assorbito gli artt. 21 e 22 della legge del 1963. Forse questo art. 21 bis è da intendere come possibile art. 107 bis? Forse, ma al momento ripeto questo articolo non c’è e non si può prevedere se e quando vi sarà aggiunto.
Certamente ho fatto una lettura frettolosa e un po’ alla buona di parti di norme giuridiche riguardanti l’accesso alla documentazione archivistica. Sarebbero necessarie letture più sottili e raffinate. Altri certamente le faranno. Volevo soltanto ricordare che mettere insieme vari “pezzi” di varie norme non è solo un problema di taglia e cuci. Se si prova a farlo non tutti i “pezzi” vanno a posto. Per esempio dove sono finite le norme che riguardavano la consultabilità degli atti processuali già presenti nella più volte citata legge del 1963 e completamente assenti nel testo unico? Gli atti processuali a porte aperte sono davvero, come sostiene qualcuno, tutti liberamente consultabili o, se contengono dati sulla salute, sulla vita sessuale, sui rapporti riservati di tipo familiare (e sappiamo quanto generica sia questa espressione) cioè dati sensibili, non possono essere consultati prima di settant’anni?
Qualcuno potrebbe farci osservare che questa confusione normativa sia spiegabile all’interno della genesi delle norme stesse. Il testo unico del 29 ottobre 1999 infatti contiene, in ottemperanza alla relativa legge delega, le norme emanate fino alla data del 31 ottobre 1998 e non poteva dunque inglobare quanto indicato dal decreto n. 281 del luglio 1999, ma questo, a sua volta, è stato elaborato senza tener conto del fatto che si stava approntando un testo unico in materia di beni culturali. Sapere di queste “separatezze” non ci consola affatto. Anzi, vorremmo saperne di più.
Inoltre non è senza significato il contesto di carattere generale in cui va a inserirsi questo o quell’articolo di legge. L’ abrogato art. 21 – lo ha ricordato anche Pavone poco fa – era ad esempio collocato sotto la dicitura “limiti alla consultabilità “. Nel vigente testo unico le disposizioni sulla consultabilità degli archivi sono poste sotto la dicitura “accesso”. Così l’art. 107 parla di “accesso agli archivi di stato”, l’art. 108 di “accesso agli archivi storici”, l’art. 109 di “accesso agli archivi privati” e la materia fa parte della “fruizione” all’interno di un contesto più generale definito “valorizzazione e godimento pubblico”.
Mi suona peraltro un po’ strano o addirittura stravagante che, proprio ora che gli archivi sono stati anche a livello normativo finalmente assorbiti all’interno di un più vasto e articolato contesto dei beni culturali, ci sia qualcuno che pensi di introdurre – come ho sentito dire poco fa – distinzioni e differenze tra quanti vogliono avvicinarsi agli archivi, privilegiando, se ho inteso bene, quelli che dimostrano di farlo per ben precise ragioni di studio. Ma come? Quando il settore degli archivi era sotto il ministero dell’Interno non erano previsti particolari “requisiti” (neppure la maggiore età ) per consultare documentazione che è conservata proprio al fine che di essere consultata e ora che siamo sotto un ministero che presume di essere “culturale” vogliamo introdurli? Insomma prima eravamo in un certo senso “liberali” e adesso che pensiamo di darci un codice deontologico ci mettiamo a inventare norme giuridiche e prevedere comportamenti che rinviano a differenze e distinzioni tra gli utenti? Francamente mi sembra assurdo.
E con ciò termino il mio intervento. Credo di interpretare le esigenze di molti dei tanti utenti degli archivi se lo termino con l’augurio che l’alluvione normativa possa essere in qualche modo controllata e non trascini con sé le possibilità d’uso che si sono andate sin qui affermando.
Note
1- Può essere utile consultare M. Cammelli (a cura di), La nuova disciplina dei beni culturali e anbientali, Commento al Testo Unico approvato con il decreto legislativo 29 ottobre 1999, n.490, Bologna, Il Mulino, 2000.