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Calendario di storia contemporanea

 

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    Weimar: Modernità e democrazia in Europa (1919-1933)

    Istituto storico italo-germanico-FBK Via Santa Croce 77, Trento

    È il convegno annuale SISCALT. L'iniziativa  nasce da una collaborazione tra più istituzioni: l’Istituto storico italo-germanico-FBK, i Dipartimenti di Lettere e Sociologia dell’Università di Trento, l’Istituto storico germanico di Roma e l’Institut für Zeitgeschichte di Monaco. Il programma è molto ricco: sette sessioni e oltre venti interventi, per i quali è prevista la traduzione simultanea dall’italiano al tedesco e dal tedesco all’italiano.

    Il tema

    La storia della Repubblica di Weimar è tornata d’attualità sullo sfondo dei più recenti sviluppi politici e sociali che hanno caratterizzato il contesto tedesco ed europeo.

    A cent’anni dalla fondazione di quell’ordinamento democratico, la lezione di Weimar viene evocata sempre più spesso come monito generale sui rischi di tenuta della democrazia. In realtà, la ricerca storica ha da tempo contrapposto a questa visione allarmistica una prospettiva alternativa, capace di fare luce anche sulla straordinaria modernità e sull’affascinante complessità dell’esperimento weimariano. Se si esamina la vicenda della Repubblica di Weimar sin dagli esordi e nei suoi sviluppi successivi (politici, sociali e culturali) fino all’inizio degli anni Trenta, affiora non solo la scintillante modernità culturale di questa epoca, ma anche la grande vitalità dei progetti politici maturati in seno all’esperienza weimariana.

    Al convegno trentino interverranno studiose e studiosi di diverse discipline, accomunati da una profonda conoscenza del periodo tra le due guerre. I loro contributi e il dibattito a cui daranno vita permetteranno di illustrare le molte sfaccettature dell’«esperimento Weimar», contestualizzandolo nel più ampio quadro europeo e internazionale.

    Sport popolare, popolarità dello sport

    Firenze (Università) e Sesto Fiorentino (Biblioteca Ragionieri) FIRENZE

    Convegno organizzato da APeP insieme ai Dip. Sagas e Forlilpsi di Unifi, Comune di Sesto Fiorentino e ISIS Calamandrei.

    L’identificazione con lo sport e le sue figure rappresentative è profondamente radicata nella sensibilità collettiva e nella quotidianità di un larghissimo numero di persone, come ha dimostrato nel 2018 l’ondata di emozione collettiva che ha accolto, non solo in Italia, la scomparsa del calciatore Davide Astori. Lo sport come spettacolo e veicolo di sentimenti e passioni ormai da lungo tempo occupa un posto centrale nella nostra vita sociale, benché – oggi – in forme spesso molto diverse da un passato ancora prossimo. L’associazionismo sportivo è una delle articolazioni intermedie della sociabilità più rappresentative del nostro mondo e del nostro tempo, anche sul piano quantitativo, rispetto ad altre forme di aggregazione ereditate dal '900 e sempre più declinanti. Nello sport, non in tutto certamente, inoltre possiamo individuare uno dei settori economici oggi più redditizi e degni di investimento da parte del capitale finanziario internazionale.
    In altri termini lo sport – o meglio gli sport – costituiscono ormai una sfera di attività sociale e una pratica culturale da prendere con la massima serietà non solo da parte dell'appassionato, ma anche dallo storico. Enormi passi in avanti sono stati fatti rispetto ai seminali studi di sociologia storica portati avanti da Norbert Elias nei primi anni '60, là dove dimostrava che il loisir, i passatempi e in particolare gli sport non erano soltanto il lato dilettevole della vita da coltivare eruditamente nella sfera ristretta dello specialista, ma qualcosa di più significativo e cogente nel rappresentare la realtà sociale complessiva attraverso le esperienze quotidiane. Ancor più che nel coevo lavoro di Roger Caillois sul gioco (o in quello precedente di Johan Huizinga), per Elias lo sport è lo specchio di come si struttura e funziona una società: la vita seria è speculare ai suoi passatempi e alla sua sfera ludica; questi ultimi si nutrono degli stessi meccanismi di regolazione e autoregolazione dell’altra, pur funzionando in modo esplicitamente e legittimamente diverso. Il processo di “sportivizzazione” del loisir (l'invenzione dello sport, si potrebbe dire) che caratterizza per prime le élites britanniche fra fine ‘700 e soprattutto ‘800, ne è un buon esempio. La trasformazione in sport di quelle attività ludico-competitive che prevedono l'uso del corpo e della forza, da sempre presenti nelle società umane, segna una decisiva spinta alla specializzazione del tempo libero e alla istituzionalizzazione per una pratica che attiene alla vita quotidiana delle società moderne, sempre più urbanizzate e industrializzate. Si tratta di un fenomeno diffusosi poi rapidamente su scala planetaria, uno dei primi esempi di globalizzazione normativa. Rappresenta anche un esplicito riconoscimento della funzione sociale dello sport e quindi indirettamente della sua centralità crescente rispetto ad altre sfere della vita collettiva nella misura in cui coinvolge tutti gli strati sociali e culture diverse.
    Gli sport hanno raggiunto così una larga popolarità – non omogenea – che si riscontra non solo nel numero dei praticanti e degli appassionati, ma anche dei fruitori in quanto spettatori di uno spettacolo capace di mobilitare, direttamente e indirettamente, risorse economiche e simboliche impressionanti e di farle entrare in circolazione interagendo simbioticamente con la comunicazione di massa e la politica. Se larga parte dei praticanti restano nella sfera del dilettantismo appassionato, lo sport come spettacolo inevitabilmente si è costruito sulla selezione dei più abili nell'uso competente della forza in ogni singola disciplina e quindi attorno a percorsi – espliciti o impliciti - di professionalizzazione differenziati nel tempo. In altri termini, il professionismo ha fatto degli sport uno spettacolo tanto quanto la spettacolarizzazione dello sport ha aperto la strada alla professionalizzazione della pratica. Se lo sport, in origine passatempo delle élites, si è “popolarizzato” diffondendosi socialmente e geograficamente fra fine ‘800 e la prima metà del ‘900 – e contestualmente nelle sue forme più spettacolari per alcuni, sempre più numerosi, è anche diventato una piacevole prospettiva di lavoro – le forme di adesione popolare a questa pratica sono profondamente mutate nel tempo, hanno evidenziato fratture, hanno rispecchiato e insieme hanno potenziato le rappresentazioni sociali, hanno inciso su di esse.
    Un’attività che è liberamente autocentrata sul soggetto che la pratica, che privilegia attraverso la prestazione la dimensione dell’individuo, in realtà ha funzionato come collettore di grandi proiezioni collettive. Gli storici, più degli studiosi di altre discipline delle scienze umane e sociali, si sono concentrati sulla stretta relazione emersa nel corso dell’800 e del ‘900 fra identità sociali (e di classe), processi di nazionalizzazione e politica di massa. L’uso pubblico dello sport, evidenziato in maniera definitiva soprattutto dai fascismi e dai regimi socialisti, è risultato così centrale nella storiografia in questo campo. Ma la partecipazione sportiva come vettore di consenso passivo degli anni ’20-’30 del secolo, o nel secondo dopoguerra oltrecortina, non esaurisce in sé lo spettro complesso del perché si fa o si segue uno sport, esattamente come non era esauriente la rappresentazione igienista e moralistica che accomunava circolarmente il discorso su sport e educazione fisica di fine ‘800, inizio ‘900. Anzi, il disciplinamento sociale attraverso lo sport ha rappresentato un terreno di confronto fra percezioni e modelli culturali ed anche politici diversi per tutto il secolo scorso.
    In che misura dunque lo sport come fenomeno diffuso è dunque “popolare”? Quali sono i diversi significati e le plurime strutture di senso che sono stati attribuiti nel tempo al carattere popolare degli sport? Perché alcuni sport sono più popolari di altri? Infine, perché oggi assistiamo a un ritorno di attenzione per lo “sport popolare”, contrapposto – ideologicamente e politicamente - non solo alla “popolarità” dello sport come business spettacolare, in un senso diverso dalla semplice dicotomia dilettantismo/professionismo, ma anche allo stesso tempo lontano dalla tradizionale sociabilità espressa dalle culture di classe e in genere politiche e confessionali del secolo scorso?
    L’associazione Amici della rivista Passato e Presente (APeP) vorrebbe riflettere su questi temi, organizzando due giornate di studi in grado di coinvolgere esperienze concrete del presente mettendole a confronto con la ricerca storica sul passato.

    Convegno riconosciuto come attività formativa per dirigenti e docenti della scuola di ogni ordine e grado, non solo di educazione fisica ma per qualsiasi materia; per le iscrizioni: https://www.edfisica.toscana.it/FORMAZIONE/tabid/830/Default.aspx