Roberto Balzani
All’indomani della Liberazione, quando la democrazia italiana cercava i suoi incunaboli, il tema costituzionale contagiò pure gli studiosi del Risorgimento, che in effetti produssero – in virtù di quella favorevole temperie – alcune opere fondamentali, tuttora testi di riferimento. Nell’ultimo ventennio, soprattutto grazie agli studi dedicati alle leggi elettorali ed alla loro concreta applicazione, il tema “astratto” della carta fondamentale ha intersecato il “vissuto” dei quarantottardi nostrani, testimoniando, al di là dei formalismi giuridici, i significati reali di parole come “costituzione” o “parlamento”: parole che non risuonarono allo stesso modo nel ’21 e nel ’48, com’è facile intuire.
Ci sono più chiari, oggi, i percorsi di mobilitazione delle élites, le maggiori o minori propensioni all’uso della pubblica opinione e dei media dell’epoca, gli atteggiamenti di strumentale adesione alle nuove istituzioni e quelli, viceversa, più autentici e motivati. Insomma, è più facile, oggi, passare con attenzione critica dal contenitore (lessicale) al contenuto (culturale e materiale) e, in questo ambito, circoscrivere e delimitare spazi sociali più o meno attenti alla “questione” del funzionamento della “macchina” nazionale nelle sue fasi aurorali.
Diverso è il discorso per la vita parlamentare nel corso del Risorgimento. Nonostante la straordinaria raccolta dei verbali delle Assemblee del Risorgimento sia disponibile da quasi un secolo nella sua versione integrale, se si esclude il Piemonte (e, in parte, il Regno di Napoli) a questa fonte, in generale, non è stata ancora accordata l’importanza che essa merita. Ora schiacciati dal protagonismo di alcuni ”grandi” patrioti, ora utilizzati come inventario di discorsi pubblici normalmente ripetitivi, i verbali delle Assemblee ci raccontano, in realtà, lo svolgimento di un faticoso apprentissage parlamentare, squadernando condizionamenti culturali, riflessi letterari, dispute terminologiche anche di grande respiro (penso alla Costituente romana del ’49 e al dibattito sui termini “socialismo” e “comunismo”). Ecco un’ottima base per comparare diversi “casi di studio” regionali e per verificare sul campo il grado della effettiva adesione “culturale” al verbo nazionale e/o ai processi di trasformazione istituzionale messi in campo dalla modernità rivoluzionaria.