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Dibattito II

Quaderni I/2001
SEGRETI PERSONALI E SEGRETI DI STATO.
Privacy, archivi e ricerca storica

a cura di Carlo Spagnolo
Parte I
Privacy e codice deontologico

Romanelli: Alcune delle tematiche che sono state sfiorate riguarderanno la seconda parte della giornata, mentre adesso conviene soffermarci sui codici deontologici. Ci diceva Stefano Rodotà che è stata attivata in questi giorni la procedura per arrivare alla formazione del codice. In base al decreto, credo che la scadenza per l’emanazione dei codici sia fine marzo; in sostanza, iniziata la procedura il 10 febbraio, c’è un mese e venti giorni per arrivare all’ elaborazione del codice deontologico. Quindi mi sembra che il Garante attenda un input da parte degli storici, che dovrebbero fornire delle tracce nel giro di quaranta giorni. Si è già detto che, al contrario di quanto avviene con altre categorie, non soltanto manca l’ordine professionale, ma non esiste una struttura rappresentativa della ricerca storica. Questo problema interessa gli storici, non l’ interlocutore, e però ci pone in una situazione assai singolare.
Pavone: Vorrei puntualizzare che il rappresentante del Garante mi ha chiesto un elenco degli istituti da interpellare, e io ne ho steso uno che è stato giudicato troppo lungo; ora si sta discutendo sugli istituti e associazioni da interpellare.
Romanelli: Noi storici sappiamo che qui si apre un ginepraio. Ho l’impressione che ciò che ancora manca in questa discussione sia la specificità del lavoro storico, nel senso che siamo interessati ad immaginare un codice deontologico, non per lo studio dei dati in generale ma specificamente per gli storici. Traggo l’impressione, dalle discussioni che abbiamo fatto sin qui, che l’ attenzione ai temi della tutela tenda, anche in questa sede, ad appiattire il discorso su una ricerca attualistica, giornalistica, al limite scandalistica e ricattatoria, che prevede che si vada in un archivio per trovare le cartelle sanitarie di Andreotti. Il che non riguarda la professione storica, non riguarda l’atteggiamento, il modo in cui lo storico costruisce le sue ricerche. E’ un problema, mi rendo conto, che investe gli utenti degli archivi, ma non riguarda gli storici e forse non riguarda nemmeno quella percentuale di persone che va negli archivi a cercare la storia della propria famiglia o i genealogisti, percentuale che negli archivi inglesi arriva al 70-75% degli utenti. Riguarda un’altra cosa. Se siamo chiamati in quanto storici ad elaborare un codice deontologico, non sono convinto che tocchi a noi misurarci con questo problema. La mia impressione, allora, è che la scarsa attenzione degli storici allo specifico della nostra ricerca tenda a creare dei problemi che riguardano, come ho già detto, il meccanismo stesso di produzione e versamento di fonti. Vorrei riprendere rapidamente tre esempi che sono stati fatti, mi pare, da De Siervo: il primo è lo stato civile. Quando lui ha menzionato lo stato civile, io ho tirato fuori dal portafoglio la mia carta dall’identità , che è un vero documento dall’antico regime perché reca come segni che mi identificano non solo cittadinanza, residenza, stato civile, professione, ma la statura, i capelli, gli occhi e i segni particolari. Sono cose che si ritrovano sui documenti cinquecenteschi e seicenteschi in cui una persona è identificata perché porta un cappello rosso. E’ chiaro qual è la sorte di queste cose: che non sono riempite. Da quanti decenni non sono riempite? Forse negli attuali moduli non esistono più. Perà², qualora lo fossero e noi avessimo dei dati dello stato civile, quale storico potrebbe mai occuparsi di fare uno scoop sul colore dei capelli o sulla statura di una persona che ne danneggi i diritti? Molti lo possono fare ma non uno storico. Mi si chiederà di definirlo: questo è il nostro problema. Un secondo esempio. Si è parlato della doverosa tutela di persone incriminate, di cui non si sappia se sono state prosciolte, assolte o condannate. Nel Parlamento italiano esiste una percentuale di incriminati molto elevata – non so se più o meno elevata di altri paesi e non ha importanza – ma quale storico direbbe mai che il Parlamento è una banda di delinquenti? E’ evidente a qualsiasi studente di storia che Tangentopoli è parte di un processo storico complesso, in cui ci sono state delle incriminazioni; lo sa chiunque guardi la televisione. E’ possibile che un giornalista faccia uno scoop dicendo che metà dei deputati sono dei delinquenti, ma qual sarebbe il rapporto con la ricerca storica? l’ ultimo esempio si riferiva al rischio che l’assenza di tutele possa incidere sulla produzione di fonti e quindi a danno degli storici futuri. Esiste almeno un settore in cui lo storico produce le sue fonti. La storia orale si basa su fonti orali e interviste, ed in genere in tutta l’ antropologia storica lo studioso costruisce la fonte. Se noi dovessimo sottoporre a tutela la costruzione di queste fonti, in nome di quei rischi che indubbiamente ci sono in chi fa gli scoop ma che gli storici orali veri non correrebbero mai, cioè di far dire delle cose ad una persona e poi diffonderle a denigrazione della sua identità e della sua rispettabilità (questo non c’è nello statuto della corporazione), le stravolgeremmo. Cerchiamo di capire una cosa: noi dobbiamo immaginare un codice deontologico degli utenti, in cui bisogna stare attenti perché la gente va in archivio e trova il certificato medico di Andreotti e lo vende a Pecorelli, o dobbiamo costruire un codice deontologico della ricerca storica? Se così è, allora sono in drammatico disaccordo con Claudio Pavone, e cioè sul no alla serrata, perché l’unica cosa è la serrata, o, perlomeno, teniamola presente. Se noi dobbiamo costruire un codice deontologico per la ricerca storica e se le mie osservazioni hanno qualche fondamento, dobbiamo tenere presente che uno storico va in un archivio in un altro modo rispetto ad una persona che va a fare lo scoop sui dati individuali. Che cos’è che distingue lo storico? Che lo storico presenta un progetto di ricerca ampio, documentato e convincente, non basato su una mezza mattinata in archivio a vedere i dati di un medico, ma oggetto di una ricerca, di un’indagine complessa, articolata ed onerosa. Tutto questo lo può giudicare soltanto un’autorità che abbia discrezionalità nel valutarlo. Non ci possono essere dei parametri affidati ad un computer, ci sarà un progetto di ricerca e qualcuno, forse gli archivisti, dirà : “Questo è effettivamente un progetto di ricerca storica, poi potrà dar luogo ad una pubblicazione o no, ma è un progetto di ricerca”. Questo significa la serrata, per usare l’espressione di Claudio Pavone, ossia una scelta drammatica. Non dico che io sono a favore e lui è contro, però il problema è questo: definire lo storico, non chiedendo alla corporazione degli storici cosa vuole, ma che noi ci assumiamo la responsabilità di definire che cos’è una ricerca storica e in quanto si distingue da tutte queste altre attività che minacciano effettivamente la dignità , l’onorabilità dei singoli. Le mie sono delle osservazioni che nascono anche dall’ansia, non soltanto della mattinata che finisce, ma del termine rapido entro cui questo codice deontologico dovrebbe essere redatto.
Carucci: Posso fare un’osservazione brevissima su quanto hai detto? E’ certamente vero che chi fa lo storico di professione può, con estrema facilità , definire la propria qualifica e quindi credo che non vada incontro a nessun problema, però ad esempio consideriamo un caso, anteriore agli ultimi settant’anni come documentazione, che è stato trattato da ricercatori di professione, anche sulla stampa, proprio con il gusto dello scoop: quello di Ignazio Silone. Io, allora, non direi che è così sicuro che non ci siano poi strumentalizzazioni.
Romanelli: Ma quello è un caso singolo di grande significato storiografico collettivo, non è uno scoop su un signore!
Carucci: Intendo dire che quello è un tema che può arrivare anche 76 Segreti personali e segreti di Stato correttamente sui quotidiani, ma è stato utilizzato, invece, in maniera fortemente strumentalizzata da varie parti. Un caso fortunato, perché la documentazione è anteriore al 1930, quindi ci troviamo di fronte ad una situazione non problematica per l’accesso. Cerca di immaginare che cosa potrebbe scatenare un caso analogo magari riferito ad un evento di trent’anni fa.
Romanelli: Io direi che questa è materia di codice deontologico. Ma se una ricerca storicamente autentica, articolata, complessa, ragionevole, con un progetto, ecc. dà luogo ad una pubblicazione dalla quale un giornalista, prendendo da una pagina qualsiasi una notizia su Ignazio Silone, ci fa uno scoop, veramente non mi pare sia materia da codice deontologico per gli storici.
Graziosi: Vorrei capire. Qui si parla di un codice deontologico per l’utente. Tu chiedi uno statuto speciale per gli storici?
Pavone: Direi di sì.Romanelli praticamente chiede un codice speciale per gli storici che sarebbe bellissimo se solo si potessero distinguere gli storici veri dai falsi.
Romanelli: Da quello che mi risulta, ma qui abbiamo per fortuna gli interlocutori adatti per chiederlo, non è prestabilito il numero dei codici deontologici, vero?
Carucci: Non esattamente: quello per “Ricerca, studio e documentazione” è sicuramente uno solo, non possono essercene diversi.
Romanelli: Però la legge è molto precisa nel distinguere l’approccio scientifico, l’approccio statistico (quello giornalistico non riguarda il decreto) da quello della ricerca storica. Il decreto legislativo 281, del 30 luglio 1999, usa l’espressione “scopi storici”. Gli archivi di Stato contengono materiale storico, nel senso, come dice lo stesso decreto, di “riferiti al passato”; siccome però questo passato arriva a tempi recenti e coinvolge il presente, ecco sorgere il nostro problema. Invece quando si parla di utenti degli archivi di Stato, si parla di persone che fanno ricerca storica, accanto ad altri che fanno qualsiasi altra ricerca.
Pavone: La legge del 1963, come ricordavo prima, usa apposta la parola “studiosi” e non “storici”. All’epoca se ne discusse e si disse che, dato che gli storici non costituiscono una categoria, il termine “storici” può portare soltanto ad una discriminazione soggettiva in base ad assunzioni che non corrispondono sempre alla realtà . Cioè, ad esempio, che tutti i professori di storia siano dei veri storici, o che tutti gli storici siano dei professori. Allora come si fa? Qui forse c’è un conflitto tra l’universalismo e il corporativismo.
Rodotà: Posso aggiungere un argomento del tipo che i giuristi chiamano “sistematico”? Ugo De Siervo molto opportunamente ha distinto le varie categorie di codici inventate intorno a questa legge. Quando ci siamo trovati di fronte al problema di dare attuazione ad una norma precisa della legge 675/96, ossia l’art.25, che riguarda il codice di deontologia dell’attività giornalistica, noi siamo arrivati alla conclusione che esso si debba applicare non ai soli giornalisti – anche se il codice è in questo caso proposto dal consiglio nazionale dei giornalisti, quindi da un soggetto che ha una rilevanza pubblica – ma a tutti coloro i quali si servono dei mezzi di informazione e comunicazione. Questa è una norma che riguarda lo svolgimento di una determinata attività , non figure soggettive preventivamente determinate. Noi siamo usciti Là completamente dalla logica corporativa, con una forzatura di cui siamo abbastanza orgogliosi. Abbiamo detto che in questo caso è in gioco una questione che noi riteniamo attenere al sistema della comunicazione. Ormai si dice addirittura che Internet cancella la distinzione tra produttori e fornitori di informazione e noi andiamo in quella direzione. E’ l’uso di uno strumento, la finalità perseguita, che mi mette in condizione di dovere poi rispettare determinate norme. Vale quello che vale, perché, ripeto, quella è una fonte molto particolare, però è un po’ la logica che il Garante ha tenuto presente.
Romanelli: Posso chiederti una precisazione? Mi sembra che nel codice dei giornalisti le sanzioni siano distinte a seconda dell’appartenenza all’ordine. Ho in testa un articolo, in cui si dice che le sanzioni si applicano solo ai giornalisti iscritti all’ ordine.
Rodotà: Ciò vale solo per le sanzioni “disciplinari”. Io, che pur avendone il titolo non mi sono mai voluto iscrivere a nessun albo nell’ambito giornalistico perché rifiuto le logiche corporative, se scrivo una cosa indegna non sono passibile di una sanzione corporativa, però posso finire in galera o posso dover risarcire i danni. Certo qui c’è un problema di specificità ed universalità : il fatto che sia prevista una sanzione disciplinare non sottrae quel soggetto alla rilevanza penale o civile della violazione. Se una persona ritiene di essere stata oggetto di un comportamento censurabile dal punto di vista del codice da parte di un giornalista professionista illustre, non è tenuta ad andare davanti all’ordine; va direttamente dal giudice penale o dal giudice civile, attenzione, invocando il codice, non un’altra norma. Capisco che è tutto da inventare, però il terreno è questo. Quella a cui ti riferisci è una norma che ha salvato la sanzione disciplinare, forse non c’era neanche bisogno di scriverla.
Pieraccini: Personalmente credo che le norme debbano riferirsi a tutti i cittadini, non ci possono essere discriminazioni. Voi rifiutate il corporativismo, ma in certa misura rinasce perché una norma che si applica solo agli storici diventa corporativa. Direi che potrebbe sfiorare persino la questione di costituzionalità . Dinnanzi ad un codice dell’utilizzo degli archivi, come si possono immaginare norme o codici differenziati?
Rodotà: Si possono immaginare norme procedurali legate, come diceva per altro lo stesso Romanelli, al programma di indagine.
Romanelli: Mi fa molto piacere di aver provocato questa discussione, mi domando però perché in questa procedura che il Garante ha aperto, ha chiesto di fare un elenco di associazioni di storici e non di qualsiasi altra associazione.
Rodotà: perché ce lo chiede la legge!
Romanelli: Ma allora la dimensione storica entra in una categoria professionale.
Pieraccini: Mi sembra che la ragione sia ovvia, ossia che gli storici professionisti possano dare utilissime informazioni, consigli e suggerimenti a delle norme che devono essere generali per tutti i cittadini. Gli storici, che sono i massimi utilizzatori, sono i titolari maggiori della consulenza.
Romanelli: Ma anche i filatelici possono fornire indicazioni!
Rodotà: Per rispondere sul piano formale, ricordo che abbiamo preso ieri la decisione, che non era scontata, di pubblicare la delibera sulla Gazzetta Ufficiale, il che vuol dire che se l’associazione dei filatelici ci manderà delle sensate osservazioni noi ne terremo conto!
Graziosi: Continuo a non capire perché noi in quanto storici dobbiamo fare il regolamento. Ho apprezzato molto quest’ iniziativa perché dimostra che siamo più uguali degli altri. Siamo cioè interessati professionalmente ai codici e quindi qui facciamo il nostro compito. Ma è nostro compito fare il regolamento? Il regolamento non dobbiamo farlo noi. Mi sembra che il regolamento lo debba fare l’autorità pubblica, ossia il Garante. A noi tocca dire: “fatelo il più liberale possibile!”. Abbiamo detto che ci sono due interessi conflittuali, come ha notato Pavone. Noi ne rappresentiamo uno, la libertà di ricerca. Mi pare sia inopportuno affidare a noi il compito di redigere il codice.