Carlo Spagnolo
Quaderni I/2001
SEGRETI PERSONALI E SEGRETI DI STATO.
Privacy, archivi e ricerca storica
a cura di Carlo Spagnolo
Parte II
Fascicoli e archivi segreti
L’ interesse pubblico alla conservazione di documenti attinenti alla nostra storia istituzionale credo possa e debba conciliarsi con la legittima tutela dei diritti alla riservatezza di un certo numero di cittadini. Il fondamento per una possibile conciliazione non mi pare sia stato sinora esplicitato. Farei risalire a questa opacità alcune incertezze e contrasti interpretativi, emersi anche qui, sulla conservazione o meno dei fascicoli dei servizi, contrasti che forse non sono stati senza conseguenze nella condotta del governo. Sul piano giuridico, oltre a quello storico-politico, ho infatti la sensazione che ci sia una contraddizione tra la direttiva purtroppo inaccessibile del governo, in base alla quale si vuole procedere alla distruzione di un certo numero di fascicoli, e la legislazione vigente, la quale tutela in varie forme i documenti amministrativi disciplinandone oltre alla conservazione anche l’accesso (sebbene a volte vietandolo per periodi di tempo variabili, al limite anche all’infinito). Avrei al riguardo due osservazioni.
Primo. In un paese in cui i servizi di informazione e sicurezza sono stati più volte accusati di deviazioni o – secondo una tesi che mi pare più ricca e produttiva per la comprensione storica di quelle vicende – di aver risposto ad una “doppia lealtà ” che coinvolgeva l’intero sistema politico, non sarebbe doveroso custodire a futura memoria tutte le carte che possano comprovare attività illegittime dei servizi? Distruggendo questi fascicoli, non si distrugge una prova importante di attività la cui connessione con più ampie deviazioni potrebbe un domani apparire più chiara di oggi? Nuove fonti, italiane o estere, non potrebbero tra dieci o venti anni diffondere una luce sul senso di queste indagini sistematiche e di preoccupante ampiezza? Tanto più se queste carte sono state prodotte illegittimamente, come richiamavano Claudio Pavone e Massimo Teodori, ne consegue l’interrogativo, che investe il governo e il Parlamento, se un’eventuale distruzione dei fascicoli non entrerebbe in conflitto con la normativa sul segreto di Stato (art.12, l. 24 ottobre 1977, n. 801), la quale contempla che “In nessun caso possono essere oggetto di segreto di Stato fatti eversivi dell’ordine costituzionale” e, garantendo l’accesso ai documenti relativi, a maggior ragione ne salvaguarda la conservazione.
Secondo. Da quando la stampa ne ha dato notizia, nell’agosto 1999, mi arrovello nel dubbio che il governo nella sua direttiva possa avere sovrapposto due categorie giuridiche distinte, quelle di legalità e legittimità , deducendone la correttezza della distruzione. Quella tra legale e legittimo è, come noto, una distinzione schmittiana 1 ma risalente a Weber. Mi si perdonerà la banalizzazione, ma si può dire per brevità che legale è ciò che si conforma alla legge, legittimo ciò che risponde ai principi fondativi del regime politico. I due ambiti possono essere distinti e, specialmente nel caso dell’attività dei servizi segreti, possono entrare in conflitto. La difesa dell’ordine politico e dei suoi principi fondativi può in qualche caso richiedere la temporanea violazione di alcune norme dell’ordinamento. Non credo che in tal caso sia corretto parlare di sospensione del diritto (nel senso schmittiano), quanto del riconoscimento della subalternità di certe norme positive ai principi costitutivi di uno Stato e quindi al suo ordinamento costituzionale. A questo scopo, ne accennava Romanelli, nell’ ambito dell’ attività dei servizi possono infatti rientrare attività illecite, che infrangano cioè determinate prescrizioni giuridiche. Anche qualora autorizzate dal potere politico, esse non diventano perciò legali, ma solo legittime. Quindi le attività dei servizi sono legittime se e in quanto dipendano e siano autorizzate dal potere esecutivo, ma legali o illegali in riferimento alla legge. La distinzione è rilevante per valutare le caratteristiche dei fascicoli riservati di cui discutiamo. Nel caso di specie mi è parso di capire, dalle informazioni diffuse dalla stampa e dall’ampia relazione odierna di Brutti, che la raccolta dei fascicoli ad opera dei servizi fosse illegale e illegittima. Si configurerebbero dunque un illecito penale e uno politico-amministrativo (direi eversivo) dei servizi.
L’ipotesi che avanzo è che il governo abbia assunto che essendo illegittime, prima ancora che illegali, le attività dei servizi potessero, anzi dovessero essere annullate con una decisione del potere politico, e quindi che la distruzione dei documenti fosse non solo autorizzabile ma addirittura necessaria. ciò sarebbe logico però, solo ipotizzando l’identità di legittimità e legalità . Tuttavia, la distinzione tra i due ambiti va mantenuta. Altrimenti temo che a lunga scadenza ne potrebbero conseguire almeno tre effetti indesiderabili. Innanzitutto, come è stato detto da Melograni e Pezzino, distruggendo i fascicoli si eliminerebbero le prove di un’attività illecita e si eviterebbe una possibile sanzione da parte della magistratura o dello stesso potere politico. Un secondo possibile effetto sarebbe di legittimare a posteriori la deviazione dei servizi. La direttiva del governo potrebbe cioè essere a torto intesa come copertura politica ex-post ad un’attività illegittima. Essa potrebbe allora costituire un precedente che finirebbe per consentire anche la distruzione di documentazione connessa a qualsiasi atto illegittimo dei servizi di sicurezza. Almeno questo è un rischio molto serio che a me pare di intravvedere, ma su cui i giuristi potrebbero contraddirmi. Il terzo effetto, sul piano storico, consisterebbe nella rimozione, non so quanto efficace, dalla memoria collettiva di un’ attività evidentemente eccedente le competenze dei servizi. Insomma, non mi pare possibile cancellare, con una decisione politica, un’azione illecita una volta che essa sia stata compiuta e abbia dispiegato i suoi effetti non solo su singoli cittadini ma – e qui sorge l’interesse degli storici per questa vicenda – forse sul funzionamento stesso delle istituzioni e del nostro sistema politico. l’accertamento spetta alla magistratura ma anche agli storici, i quali svolgono (o almeno ci provano) una funzione pubblica nella rielaborazione del passato che sappiamo tutelata e promossa dal nostro governo e dall’ordinamento. In questo senso, mi pare essenziale salvaguardare la fonte in questione nella sua integralità e senza epurazioni.
Dal punto di vista del governo, tuttavia, si pone l’esigenza di tutelare il nome, l’integrità morale e gli interessi legittimi dei malcapitati su cui i servizi possano avere illecitamente raccolto materiale magari gravemente diffamatorio. Ho piena comprensione per la difficile posizione in cui l’esecutivo deve essersi venuto a trovare in questa delicatissima materia. Se la tutela dei cittadini ingiustamente inquisiti (o forse persino ricattati) dai servizi fosse l’obiettivo perseguito dalla direttiva segreta del governo, come è parso di capire dalle informazioni circolate sugli organi di stampa e dalle indicazioni dell’on. Frattini di cui ci ha parlato Romanelli, resta però l’interrogativo circa l’adeguatezza del mezzo scelto rispetto al fine. Nulla escluderebbe infatti che esistano copie di tutta o parte della documentazione e che, una volta ufficialmente distrutti i fascicoli in questione, parte delle informazioni ivi contenute possano un domani riapparire come arma di ricatto, senza che le vittime possano più difendersi con l’accesso alle carte e la dimostrazione del modo illecito in cui le informazioni sono state prodotte. Si tratta di un’osservazione già espressa, tra gli altri, da Paola Carucci, da Claudio Pavone e dal sottosegretario Brutti. Mi chiedo perciò se non esistano strumenti alternativi che permettano di contemperare l’ esigenza di difesa della privacy con la tutela della documentazione in questione.
A mio avviso, e concludo, si potrebbe in proposito trarre insegnamento dalla normativa tedesca sugli archivi della STASI. Secondo la legislazione tedesca sulla privacy – come accennava Lutz Klinkhammer – i fascicoli della STASI avrebbero dovuto essere distrutti, proprio come si pensa di fare nel caso italiano. Invece la “legge sugli archivi della STASI” ha come priorità la conservazione. Mentre la legge tedesca sulla privacy si occupa delle informazioni prodotte legalmente, la legge sugli archivi della STASI si occupa delle informazioni illegittime. Ha cioè prevalso l’interesse pubblico a tutelare la sfera della legittimità . Detto in modo molto contratto, la legge tedesca distingue i documenti in base agli scopi perseguiti dalla STASI e prevede anche tutele differenziate tra chi veniva protetto e chi veniva perseguitato. A differenza della legge sulla privacy, non conta quindi la correttezza delle informazioni ma il modo della loro produzione. La distinzione si riflette anche sulle forme di accesso. Si prevede in certi casi l’ “anonimizzazione” delle informazioni dei dossier personali, mentre la “chiusura” (Sperrung) totale, tipicamente prevista in caso di violazione della privacy, viene ristretta. La distinzione tra chiusura ed anonimizzazione serve soprattutto a tutelare i diritti dei cittadini inquisiti illegittimamente e assicurare al tempo stesso i diritti di accesso ad altre categorie di cittadini, tra cui gli storici. La lezione da trarne nel caso italiano sarebbe allora di prevedere un intervento legislativo – meglio se, come invocavano Brutti e Teodori, un testo unico sul segreto di Stato – in cui si distinguano i documenti prodotti illegalmente da quelli prodotti illegittimamente. Per i primi la distruzione sarebbe in linea di principio giustificata (fatto salvo l’accertamento dei profili penali o civili), in quanto si tratta di violazioni nell’ambito del diritto privato, mentre invece i secondi andrebbero comunque conservati perché rientrano nella sfera del politico. un’ eventuale normativa per questi ultimi dovrebbe magari specificare le finalità della conservazione (documentazione dell’attività dei servizi, finalità penali o storiche, ecc.) prevedendo se del caso tutele rafforzate nell’ accesso e nella consultazione.
Note
1 C. Schmitt, Legalität und Legitimität, Lipsia/Monaco, Duncker & Humblot, 1932.