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Guerra civile e guerra ai civili. Il ruolo dei fascisti nelle stragi del 1943-1945

Dianella Gagliani

Dianella Gagliani

Negli ultimi anni sono emerse memorie di giovani e giovanissimi di Salò che hanno avuto il merito di portare alla ribalta una presenza per lungo tempo rimossa. Ma, anziché essere di stimolo per l’avvio di una riflessione sulla complessità del fascismo e sulla nostra “banalità del male”, esse praticamente non hanno fatto che rafforzare il mito dell'”italiano brava gente” insieme a quello del “buon” fascismo italiano.
Per quanto riguarda la violenza, storiograficamente si è posto soprattutto l’accento sulla sua “essenza” nazista, trascurando la componente fascista, mentre l’aggettivo “nazifascista”, con cui per lungo tempo la si è qualificata, pur non sempre scorretto, ha finito per far coincidere fascismo e nazismo, fascisti e nazisti, italiani e tedeschi, azzerando di fatto i primi sui secondi.
Si è così praticamente rimosso il soggetto italiano (dai responsabili ai vari livelli fino agli esecutori) e non si è avviata una ricerca a più vasto raggio su questa presenza e sulle sue motivazioni. Ciò che conduce non ad appiattire su questi percorsi l’intera vicenda della Rsi, ma a coglierne la rilevanza all’interno della stessa Rsi (e nella più generale storia italiana).
Da due angolazioni (non necessariamente contraddittorie ed escludentisi, anzi più di frequente intrecciate, ma che è bene nell’analisi tenere inizialmente distinte) si guarderà qui al soggetto fascista (con i suoi particolari tratti del dopo 8 settembre 1943):
nel suo essere e sentirsi alleato del Terzo Reich;
nella sua intenzione di giocare un ruolo attivo e di far avanzare un proprio progetto di società.
Dalla prima angolazione vediamo all’opera delatori e spie che denunciano nemici “interni” e “esterni”, politici e amministratori che accondiscendono alla richiesta di ostaggi avanzata dai nazisti (in analogia con il non rifiuto di “cessione” di ebrei e di ebree e di uomini e donne da utilizzare nel lavoro coatto o da deportare).
La seconda angolazione consente di evidenziare una violenza autonoma di settori fascisti (anche riguardo a quella che si può definire una vera e propria politica degli ostaggi), la quale si collega alla sconfitta del 25 luglio e al desiderio di vendetta contro i “traditori” (un insieme che si allarga a dismisura coinvolgendo ex fascisti militanti ma anche semplici ex tesserati fino a interessare la popolazione civile che non si adegua alla volontà di continuare e sostenere quella guerra). La presenza partigiana farà nascere la figura del “bandito” e al suo fianco quella del “complice”, una figura dilatabile al di fuori di ogni confine, anche in questo caso. Ma la violenza contro i partigiani e i loro “complici” va tenuta distinta da quella contro i “traditori”, la quale si sviluppa immediatamente e contribuisce a creare fin dai primi di ottobre 1943 un clima di terrore e sospetto.