Anna Tonelli
Sono passati quasi vent’anni dalla pubblicazione della Storia sociale del jazz che Hobsbawm ha inteso come l’ incipit di un’analisi più ampia che considera come oggetto di ricerca la storia del tempo libero. Dopo anni di predominio assoluto della sociologia e dell’antropologia, ora il tempo libero è considerato a tutti gli effetti una categoria storiografica. Prova sono i numerosi studi sulla storia dello sport, dei luoghi della socialità borghese e popolare, dei riti e delle feste di massa. Non mancano nemmeno accenni sempre più estesi all’uso politico del tempo libero: dal primo e innovativo caso del Dopolavoro fascista analizzato da Victoria de Grazia alle riflessioni sull’utilizzo a fini educativi del tempo libero da parte del movimento cattolico, per finire con la trasformazione del loisir in strumento di proselitismo dei partiti di massa.
Interessanti sono stati anche gli intrecci fra storia sociale e storia del tempo libero con nuove interpretazioni che hanno dato contributi originali alla storia delle donne, dei generi, dell’associazionismo, solo per fare alcuni esempi significativi.
Questo non significa però che la storia del tempo libero debba considerarsi un terreno di analisi ormai esaurito. Tutt’altro. I percorsi di ricerca possibili sono ancora molto estesi, soprattutto in direzione di una sempre più proficua intersecazione con la storia politica e di formazione del senso comune. Le biografie dei militanti, le lettere inviate ai giornali di partito, le feste, le vacanze organizzate dai partiti di massa costituiscono delle spie fondamentali per trasformare la storia del tempo libero in storia del costume. Sono solo alcune delle ipotesi di lavoro sulle quali si stanno muovendo gli storici che partono dal tempo libero per addentrarsi nell’ancora poco esplorato campo del “vissuto politico” e della storia della mentalità.
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