Pochi attori sono stati così importanti nella storia del fascismo come le Forze Armate. Dal favoreggiamento allo squadrismo nel primo dopoguerra, frutto di un deciso filofascismo diffuso in larga parte della società militare, all’appoggio al regime, dimostrato in occasioni clamorose come la crisi di consenso dopo il delitto Matteotti, fino all’acquiescenza nei confronti della decisione di entrare in guerra, i militari di professione hanno vissuto la parabola del ventennio assicurando al fascismo una tacita – ma apparentemente solida – alleanza. Allo stesso tempo, segmenti della dirigenza militare e del corpo ufficiali attraversano gli anni tra le due guerre elaborando progetti politici alternativi all’avvento del fascismo (nel primo dopoguerra), o conflittuali alla dittatura (nelle settimane del delitto Matteotti) coltivando malumori e sorde ostilità che paiono sfociare nel rovesciamento del 25 luglio. Tuttavia, nonostante questo conclamato ruolo protagonista, i militari rappresentano una sorta di convitato di pietra nella storia del fascismo italiano. Se si escludono alcuni studi pionieristici (come quelli di Giorgio Rochat), maturati in anni ormai lontani, in contesti metodologici assai diversi e con disponibilità documentarie molto più ristrette, sono stati infatti ben pochi gli storici a dedicarsi alla vita, alla cultura e alla mentalità dei professionisti delle arm,i tra prima e seconda guerra mondiale, e ancora di meno ad analizzare approfonditamente i rapporti tra potere militare e potere politico tra Vittorio veneto e il secondo dopoguerra. Negli ultimi anni, alcuni saggi hanno aperto invece la strada ad ipotesi interpretative nuove, che riconsiderano l’integrazione (in minore o maggior grado) delle Forze Armate nello stato totalitario, la capacità dell’attore militare di mantenere davvero un reale grado di autonomia rispetto al regime (un fatto spesso rivendicato nella memorialistica post bellica) e la partecipazione della società militare alle pratiche della discriminazione antisemita e della guerra ai civili. Furono i militari realmente protagonisti di un coerente tentativo di involuzione autoritaria dello stato dopo
la Grande Guerra? Il fascismo fu la risposta a questi desiderata nel campo della politica? La fascistizzazione delle Forze Armate fu un fatto compiuto? In che termini si può affermare o negare che gli apparati militari furono esecutori del regime, o piuttosto fiancheggiatori o anche oppositori? A interrogativi come questi le storiografia italiana non pare aver dato, fino a tempi relativamente recenti, risposte del tutto soddisfacenti. I contributi contenuti in questo panel, basati parzialmente su studi già editi e in parte su ricerche ancora in fase di sviluppo, intendono presentare, in un quadro articolato tra primo e secondo dopoguerra, le prospettive emerse in quella che si può considerare una stagione nuova degli studi sui rapporti tra regime e apparati dello stato.