Cerca

La carta del Regno: scienza e Stato nell’Italia post-unitaria

Pietro Corsi

Pietro Corsi

Nel 1830, Charles Lyell definiva la geologia una “scienza italiana”. Nel corso del XIX secolo, le grandi imprese di rilievo geologico del territorio divari stati europei e di non poche colonie o ex-coloniefacevano della geologia la prima “big science” delmondo contemporaneo. Decine di studiosi, tecnici, disegnatori, amministratori pubblici partecipavano alla redazione di carte geologiche, riuniti in grandi istituzioni finanziate dai vari Stati. Tuttavia, alla fine del secolo, la geologia era tutto meno che una “scienza italiana”; le campagne di rilievo sul terreno, l’elaborazione dei dati e la stampa della carta geologica del Regno d’Italia avanzavano a fatica, tra polemiche, incertezza di finanziamenti, e l’indifferenza del Parlamento, chiamato ogni anno a votare i fondi per il Servizio Geologico Nazionale, significativamente mai iscritto nel bilancio ordinario dello Stato. Se la retorica che esaltava il ruolocrescente dell’Italia quale potenza Europea faceva a volte posto all’affermazione del bisogno-dovere di dotare il paese di uno strumento cruciale per il censimento delle risorse naturali e per sostenere i grandi progetti di infrastrutture da realizzare (ferrovie e strade in primo luogo), la realtà dei lavori per la Carta Geologica del Regno d’Italia metteva in luce il forte ritardo nei confronti dei risultati ottenuti in altri Stati. L’impresa, trascurata pressoché completamente dalla storiografia della scienza e dalla storiografia sullo Stato italiano, ha lasciato tracce documentarie importanti anche se frammentarie, e può divenire oggetto di ricerche interdisciplinari di un certo rilievo.