Gilda Nicolai, Lavoro, patria e libertà. Associazionismo e solidarismo nell’Alto Lazio lungo l’Ottocento, Viterbo, sette città, 375 pp., € 25,00
Riconsiderando il rinnovamento degli studi sul mutualismo stimolato da quelli sulla sociabilité, l’a. ricostruisce il quadro delle società di mutuo soccorso di un’area specifica, il Viterbese, lungo un ’800 dilatato a monte verso l’antico regime e sfociante a valle nell’avvio dell’industrializzazione e dello stato sociale italiani e nel conseguente depotenziamento del mutuo soccorso. Sulla scia di Soldani, dunque, esamina un’area dotata «di una propria omogeneità dal punto di vista spaziale, culturale ed economico» per interpretare la «struttura associativa in rapporto dialettico con il territorio su cui essa insiste» (p. 51). d’altra parte il lungo periodo esteso all’indietro emancipa il mutualismo dal telos dell’organizzazione di classe e valorizza la preesistenza di forme associative (confraternite, accademie, ecc.) diffuse e stratificatesi nel tempo, le cui funzioni saranno in parte ereditate dalle società mutue agevolandone l’insediamento dopo il 1870.
L’a., sulla base di un cospicuo corpo di fonti a stampa (periodici, opuscoli, statisti-che e, soprattutto, statuti) e d’archivio (prefettura, sottoprefettura, archivi di società) in gran parte raccolto nel disperso panorama degli istituti conservativi locali, delle società ricostruisce minuziosamente diffusione territoriale e temporale, scopi, funzionamento in-terno, ruolo pedagogico e ricreativo, funzione liturgica, quantificazione e composizione dei soci. infine, affronta la loro «spinta propositiva verso la modernità», le iniziative promosse in nome dell’ideologia del progresso e volte, in un’area poco sviluppata, alla crescita culturale e civile dei lavoratori ed economica del territorio. corredato da tabelle che illustrano aspetti diversi del fenomeno, da un Prospetto delle società e da un repertorio delle fonti a stampa utilissimi vista la frammentarietà e dispersione che spesso ostacolano questi studi, il lavoro rivela l’articolato panorama di una regione eccentrica e complessa ma poco frequentata dagli storici, e valorizza l’esperienza mutualistica cattolica.
Il territorio e la sua densità, però, lungi dall’essere una chiave di lettura in grado di ridiscutere o meglio articolare i risultati già acquisiti dalla storiografia, si rivela uno spazio su cui proiettarli e riconfermarli per mostrare che anche qui il mutuo soccorso è esistito, un quadro d’applicazione piuttosto che un parametro interpretativo («anche nel Viterbese sulla scia del resto d’italia» è un’espressione ricorrente). La specificità del contesto compare solo da p. 165 e interloquisce a fatica col resto della trattazione. Tale distacco è forse dovuto al tipo di fonti utilizzate nel centrale cap. 3, ovvero gli statuti che, nella loro astrattezza, riproducono schemi generali e poco dicono su pratiche effettive, rapporti con identità e assetti di potere locali, ecc. in una regione che ben si presta, come ha mostrato G. Nenci, a decostruire le tipologie generali, un maggior dialogo con le altre fonti pure impiegate dall’a. in altre parti del volume avrebbe consentito di restituire un quadro più vivace e aderente alla realtà sociale del territorio. La non rara ripetizione di frasi e concetti, infine, appesantisce la lettura.
Tommaso Petrucciani
Risposta a Tommaso Petrucciani
Ben vengano le osservazioni di Petrucciani al mio lavoro, ma vorrei fare alcune precisazioni sulla ricerca, frutto dei tre anni di dottorato svolto presso l’Università della Tuscia di Viterbo. A proposito della poca significatività del territorio nel mio “caso di studio”, esso è invece il punto di partenza: ripensare la storia del mutualismo –fenomeno nazionale e non locale- anche al di fuori delle aree di maggiori trasformazioni socio-economiche e di metterlo in relazione con il “temperamento” di quella parte del Lazio e dello Stato Pontificio –la Tuscia, area con forti radici cattoliche– che presentava peculiarità assai diverse anche da aree vicine (come quelle dei castelli romani di cui Petrucciani si è occupato), testimoniando altresì come i caratteri dell’associazionismo non siano distinguibili solo in base alle tipologie professionali o alle ideologie politiche, ma anche in base alle culture civiche del territorio. Si osserva ancora che la specificità del contesto compare solo a pag. 165, ma non si dice perché, ovvero che prima ci sono un capitolo sugli indirizzi e sui risultati degli studi recenti e un successivo capitolo incentrato su culture e tradizioni associative preesistenti, che sono imprescindibili per capire le forme e le vie della modernizzazione. Sulle fonti privilegiate- gli statuti -, come ben sa Petrucciani, purtroppo per il Viterbese sono andate perse quel tipo di fonti prodotte dalle associazioni ed in ogni caso, proprio per indagare criticamente le carte d’identità e di auto-rappresentazione del mutualismo – quali sono gli statuti -, il ricco ventaglio di fonti utilizzate, e che Petrucciani stesso riconosce, permette di proprio di concorrere a quella “decostruzione” dei modelli interpretativi generali che anche nella mia ricerca rappresentava un obiettivo perseguito. Si comprendono bene allora, mi pare, i meccanismi di interazione e le pratiche associative indotte dal mutualismo, tra tradizionali reti di sociabilità e nuove forme dell’agire sociale, come si potrà vedere nel corposo capitolo quarto, pressoché ignorato nella recensione. Aver detto e ridetto circa la natura delle fonti e il loro utilizzo, è per caso sfuggito al cortese recensore e non andava forse ricordato a beneficio del lettore? Giusto invece il rilievo circa gli assetti di potere, che sarebbe stato opportuno indagare di più e meglio: ma bisogna pur darsi degli obiettivi e delle modalità di lavoro. Altro si potrà e si dovrà fare.
Gilda Nicolai
Replica a Gilda Nicolai
Anche la replica a una recensione è ben accetta perché, per ragioni di spazio, il giudizio può esser risultato tranchant; perché manifesta un’attenzione per il lavoro del recensore che, a sua volta, ha prestato attenzione all’opera; perché, infine, apre un confronto su un contesto di ricerca interessante ma accidentato come quello laziale.
Ribadendo quanto già scritto, per meglio chiarirlo desidero sottolineare due punti. a) Le mie osservazioni non riguardano la “poca significatività del territorio” preso in esame, anzi. Condivido in pieno il punto di partenza e credo, come detto, che il Lazio sia particolarmente interessante da questo punto di vista. Ho affermato, invece, che nella trattazione emerge con poca efficacia tale significatività e quindi anche la “decostruzione dei modelli generali” che essa consentirebbe. b) Penso che ciò sia dovuto anche al tipo di fonti privilegiate e al loro utilizzo. Gli statuti, attraverso cui viene prevalentemente ricostruita la vita delle associazioni, anche se importanti offrono infatti un quadro più formale che pratico di quest’ultima, proprio perché sono delle autorappresentazioni e attingono a modelli generali e standardizzati che tendono, sulla carta, a ribadire. Circa le fonti, di cui mi sembra di aver detto ma non ridetto, ho invece valorizzato come pregio del volume il lavoro di individuazione e localizzazione, la ricostruzione di un quadro frammentato e la messa a disposizione del lettore di importanti strumenti per il reperimento e l’analisi di una documentazione lacunosa e dispersa. Ad maiora!
Tommaso Petrucciani