Anno di pubblicazione: 2014
Il libro di Satto affronta una questione di grande rilevanza nella storia politica dell’Italia unita: il percorso attraverso il quale, dopo il 1860, una parte significativa della sinistra democratica di ascendenza mazziniana e garibaldina accantonò gradualmente la prospettiva rivoluzionaria, accettò la soluzione monarchica e la logica parlamentare e riuscì infine a trasformarsi in opposizione costituzionale. Si trattò di un percorso complesso e non lineare, che si concluse soltanto all’indomani di Porta Pia, quando, completata l’unificazione territoriale con Roma capitale, la sinistra poté definitivamente «costituzionalizzarsi», uscendo da quella zona di ambiguità, che l’aveva vista sempre pronta ad abbandonare l’aula del Parlamento per impugnare le armi e seguire Garibaldi nelle sue imprese. Soltanto allora il sistema politico italiano avrebbe assunto una compiuta fisionomia bipartitica, formalmente posseduta fin dal 1861, ma nei fatti non praticabile per l’esclusione dall’area della legittimazione a governare di uno dei due attori, la sinistra, sempre oscillante fra opzione legalitaria e tentazioni antisistemiche.
Antonio Mordini, nato a Barga nel 1819 e morto a Montecatini nel 1902, fu uno dei principali protagonisti di questo percorso. Mazziniano e repubblicano in gioventù, ministro degli Esteri e della Guerra nel governo democratico toscano del 1849, prodittatore con Garibaldi in Sicilia nel 1860, deputato dal 1861 al 1895 e poi senatore, ministro dei Lavori pubblici con Menabrea nel 1869, commissario regio in Veneto nel 1866 e prefetto di Napoli dal 1872 al 1876, Mordini si segnalò negli anni ’60 proprio per il tentativo di portare la sinistra democratica risorgimentale, ormai approdata in Parlamento, su posizioni di pieno rispetto della Costituzione, in modo da prefigurare una valida alternativa di governo alla destra. Fra il 1866 e il 1869 Mordini, insieme ad Angelo Bargoni e ad altri parlamentari, cercò persino di fondare un raggruppamento politico autonomo, il cosiddetto «Terzo partito», che raccolse adesioni fra esponenti della destra e della sinistra, ma non ebbe successo.
Satto getta nuova luce su queste vicende sulla scorta di una ricca documentazione inedita (soprattutto quella raccolta nel vasto e fin qui largamente inesplorato Archivio Mordini di Barga), ma anche grazie allo spoglio attento di giornali, opuscoli, corrispondenze, atti parlamentari, memorialistica. Il suo è un libro di storia politica d’impianto molto tradizionale e le vicende di cui si occupa sono state oggetto in un passato più o meno lontano di innumerevoli studi. Satto dimostra però di aver saputo recepire alcune indicazioni di ricerca della recente storiografia sull’Italia liberale, come quelle che hanno posto l’accento sulla legittimazione/delegittimazione dell’avversario, sul ruolo politico della Corona, sulla necessità di un approccio sistemico alla storia dei partiti. E il lavoro ne risulta irrobustito sia sotto il profilo metodologico sia come capacità analitica e interpretativa.