Anno di pubblicazione: 2001
Chiarito Di che cosa parliamo quando parliamo di totalitarismo (cap. I), cioè che ci si riferisce a un concetto, non a una specifica forma di regime storicamente dato (di destra o di sinistra), Bidussa definisce il concetto attraverso i suoi due connotati complementari: ordine gerarchico in cui ci si affida al capo come salvatore e domanda di sicurezza (?di semplificazione sociale e culturale a fronte di una complessificazione delle società contemporanee?) che lo fonda. Ne discende che se il totalitarismo è novecentesco, la ?mentalità totalitaria? gli preesiste e ? inquietantemente ? gli sopravvive: non ne è prodotto storico, bensì prerequisito. Nella Mentalità totalitaria (cap. II), definita come ?quella sensibilità mentale che produce un immaginario di desiderabilità dell’ordinamento sociale fortemente controllato, caratterizzato da aggressività e caricato di vittimismo persecutorio?, sopravvivono eredità mentali del mondo premoderno. Di essa è componente fondamentale l’immaginario utopico. Ma la sua genealogia va rintracciata nelle ambiguità della cultura ottocentesca, che il Novecento rivelerà. Bidussa le indaga attraverso il loro riflesso letterario, dal Frankenstein di Mary Shelley (1818) al ?perturbante? tardo-ottocentesco, in cui le nuove versioni dell’immaginario vampiresco conducono alla teoria del complotto e ai Protocolli dei Savi Anziani di Sion. Tuttavia, e diversamente da quel che il titolo annuncia, più che alla storia e all’antropologia il libriccino fa posto ? nel terzo e più ampio capitolo (È il totalitarismo una religione politica?) e nel Poscritto ? alla filosofia politica, nel segno della fedeltà al pensiero di Hannah Arendt: soprattutto alle pagine più tarde in cui il problema che la occupa è quello della fuoriuscita dai totalitarismi o della loro possibile vittoria postuma. Prodotto della modernità, il totalitarismo non è per la Arendt una ?religione politica?, è anzi ? così Bidussa ? ?un’esperienza politica che ha valore prescrittivo e rifondativo della qualità della politica?. Se della sua funzione nella società si possono citare precedenti nei movimenti settari e redentivi del XVI e XVII secolo e nei culti rivoluzionari dell’estremismo giacobino, la sua sostanza è terrificantemente originale. Nondimeno, il totalitarismo non è (così Bidussa citando Simona Forti) ?quel mostro che minaccia dall’esterno la democrazia, è invece l’indesiderato ospite che bussa di continuo alla sua porta?, perché la mentalità totalitaria si alimenta della debolezza costitutiva della democrazia (la libertà stessa) a fronte dei problemi irrisolti della modernità. Prevedibile viatico di congedo è ? rinforzata da citazioni di Salvatore Veca, di Rousseau e del molto presente Foucault ? una proposta di ?dismissione della pratica mentale utopica come disprezzo degli uomini concreti? e assunzione di impegno nella storia ?senza che questo ingeneri ogni volta il loro annichilimento in nome dell’uomo nuovo o dell’uomo unico?. Non si può non rilevare, nel testo, il numero eccessivo di autori e titoli citati. Forse la rilevanza del tema potrebbe giustificarlo, ma un testo di 115 pagine non lo tollera senza diventare labirintico. Tanto più che il testo stesso è redatto in forma poco sorvegliata, con costrutti faticosi che obbligano alla rilettura.