Anno di pubblicazione: 2011
Il travestitismo è un fenomeno sociale che ha una lunga storia e una sua tradizione storiografica, specialmente per l’età moderna. Monasteri, eserciti, teatri e poi ancora club privati e taverne hanno conosciuto molti casi di donne travestite da uomo e viceversa, le prime mosse soprattutto dalla prospettiva di accedere ad ambiti sociali altrimenti preclusi o dal desiderio di vivere relazioni con persone del proprio sesso, i secondi essenzialmente per quest’ultimo motivo. Al fine di evidenziare lo scarto avvenuto tra ‘800 e ‘900, l’a. sceglie di «declinare» il termine in «travestitismo di genere», un’espressione che rimanda alla costruzione sociale dei modelli di mascolinità e femminilità e alla loro sovversione: travestirsi non solo o non tanto per mutare il proprio destino o perseguire un desiderio sessuale, quanto piuttosto «come pratica di rivendicazione o svelamento attraverso cui affermare una soggettività o sessualità difforme rispetto ai modelli egemoni» (p. 9). La sfida così lanciata è alla divisione sociale dei sessi che sorregge anche l’architettura istituzionale degli Stati nazionali e che le nuove scienze positive si impegnano a trincerare dietro una «puntigliosa tassonomia dei comportamenti, delle abitudini, dell’estetica dei due sessi» (p. 7), tanto più dettagliata quanto maggiori appaiono i cambiamenti sociali e di costume indotti dai processi di modernizzazione. In questo quadro la giovane Italia appare un caso di studio particolarmente significativo, e convincente è la chiave di lettura adottata dall’a., per la quale «proprio la rigida codificazione dei modelli di genere tentata nei decenni postunitari insedia nell’atto di mutare il proprio aspetto sessuale la sfida alla staticità e alla stabilità dei ruoli, divenendo metafora delle aspirazioni al cambiamento e a spazi di libertà per importanti, nuovi, attori sociali» (p. 103). Dietro la vasta casistica di travestimenti sanzionati da inquiete folle cittadine, raccontati dalla stampa o studiati dalle scienze medico-sociali, si intravedono i veri spettri dell’Italia liberale: uomini de-virilizzati e «donne nuove», magari amanti della neonata gonna-pantalone, e soprattutto le e gli omosessuali, presenti come mai prima sulla scena pubblica e a loro volta portati a travestirsi non per ingannare ma per «segnare una disobbedienza», per svelarsi e «interpretare ruoli di genere differenti da quelli egemoni» (p. 128).Seguendo le vicende di travestimenti rinvenute in una variegata tipologia di fonti – e le parti narrative sono senz’altro le più riuscite del volume – l’a. ci presenta i protagonisti di questa storia: la stampa d’età liberale, pronta a offrire notizie scandalistiche per attrarre lettori; i semplici cittadini, che vedono ovunque travestiti; la nuova Polizia scientifica, addestrata a esaminarli da una schiera di medici e antropologi intenti ad appiattire travestitismo e omosessualità nel campo comune dell’«inversione sessuale». Protagonisti tutti di un complesso dispositivo di disciplinamento sociale che guarda più alla norma che alla sua eversione, quest’ultima sottratta infine alla sfera delle scelte individuali e relegata fra le «perversioni della natura».