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Ricondurre gli archivi nell’ambito del diritto comune

Claudio Pavone
Quaderni I/2001
SEGRETI PERSONALI E SEGRETI DI STATO.
Privacy, archivi e ricerca storica

a cura di Carlo Spagnolo
Parte II
Fascicoli e archivi segreti

Sarò molto breve, perchè i tre oratori che mi hanno preceduto hanno espresso tutti, se pur con alcune sfumature diverse, pareri contrari alla distruzione dei documenti dei servizi segreti più o meno deviati. Anche le riserve manifestate da Massimo Teodori mi sembra abbiano avuto un limite nella sua affermazione che dopo trent’anni si deve poter vedere tutto: tutto, ovviamente, tranne quello che è stato eliminato. Il problema torna dunque al punto centrale che è, anche per i documenti, quello del primum vivere.
Naturalmente, concordo con chi ha contestato l’affermazione che vanno distrutti i documenti che contengono notizie false. Parte cospicua, ad esempio, dei documenti processuali e di polizia andrebbero in tal caso distrutti. E poi: quale commissione, nominata da chi, giudicherebbe della falsità o verità ? Si tratta dunque di una affermazione priva di senso non solo per gli storici, ma anche per una persona, appunto, di semplice buon senso. Tanto meno si può sostenere che siano da distruggere i documenti illecitamente prodotti. Qui il punto di vista va totalmente rovesciato: quanto più i documenti sono illeciti tanto più vanno conservati, come prova della illiceità dei procedimenti che li hanno prodotti. Essi sono fonti per lo studio delle malefatte del potere, e un potere che in tali malefatte non sia in alcun modo coinvolto non ha motivo di negare l’ accesso alle fonti necessarie per studiarle. Mi sembra che il sottosegretario Brutti abbia accennato al problema della distruzione dei corpi del reato. Ma, se vi sono state pubbliche istituzioni che hanno compiuto dei reati, distruggerne le prove mi sembra che sia esso stesso un reato e comunque un procedimento del tutto contrario allo Stato di diritto.
Il sottosegretario ha anche fatto, con la dovuta discrezione, un cenno al rischio che le carte dei servizi, se si decidesse formalmente di distruggerle, verrebbero con buona probabilità preventivamente fotografate dai servizi stessi o da chi per loro. così potrebbero in futuro essere fatte fuggire notizie nocive al buon nome di una persona da parte di chi è l’ unico ed abusivo depositario dei relativi documenti. Il cittadino calunniato non avrebbe mezzi di difesa: al suo avvocato che chiedesse la visione del fascicolo che lo riguarda verrebbe opposto che esso, in ossequio alla legge, è stato distrutto. Questo significa che la distruzione dei fascicolo, lungi dal costituire un’arma di difesa per i cittadini ingiustamente colpiti, si ritorcerebbe contro di loro. Solo l’ accesso al fascicolo messo insieme dai servizi “deviati” è garanzia per il cittadino vittima dell’abuso di potere che lo ha colpito. Insomma, quanto più i documenti sono riservati e riservatissimi, segreti e segretissimi, tanto più la loro eliminazione deve essere cauta o esclusa del tutto.
Ragionamento simile a quello fatto per i documenti dei servizi segreti può ripetersi per gli archivi dei Carabinieri, inaccessibili agli storici. Talvolta si sente dire che in Italia l’esistenza di due polizie concorrenti – Carabinieri e pubblica sicurezza – sia una garanzia e un vantaggio per i cittadini. Sarebbe augurabile che di tale vantaggio potessero fruire anche gli storici. E’ vero che alcuni documenti dei Carabinieri si ritrovano fra le carte delle prefetture, con le quali essi carteggiano, partecipando altresì alle ricorrenti riunioni presso i prefetti dei responsabili dell’ordine pubblico nella provincia. Ma si tratta di documenti concepiti tenendo presenti i destinatari prefettizi; e ben altro ci potrebbero certamente dire in molti casi i documenti di cui i carabinieri siano insieme autori e destinatari.
Nel corso di dibattiti di questa natura viene talvolta in mente di suggerire l’applicazione agli archivi di quanto un tempo si diceva della Chiesa cattolica: ricondurla nell’ambito del diritto comune. E’ la formula più liberale escogitata per regolare i rapporti fra Chiesa e Stato, ed è una formula oggi talmente inattuale da apparire perfino bizzarra. Orbene, anche gli archivi (tutti) andrebbero ricondotti nell’ambito del diritto comune, che non significa diritto uniforme; e l’impresa sarebbe certo assai meno ardua di quella un tempo sollecitata a proposito della Chiesa. Scarti, versamenti negli Archivi di Stato, salvaguardia dell’esistente e chiarezza di principi per quanto è in via di produzione specie relativamente ai nuovi sistemi informatici, rapporti fra pubblico e privato, condizioni di fruibilità , contemperamento fra diritti concorrenti e così via: tutto sarebbe bene tornasse sotto principi generali comuni. Non dovrebbe più accadere quello che accadde al sovrintendente archivistico del Lazio. Quando morì l’onorevole Tambroni, passato alla storia per l’illegale e cospicuo accumulo che aveva fatto di fascicoli personali, l’onesto funzionario si presentò nella casa del defunto rivendicando, a termini di legge, il diritto dello Stato ad entrare in possesso delle carte di natura pubblica che vi fossero conservate: fu messo alla porta e poi aspramente redarguito dal prefetto direttore generale dell’ amministrazione civile, da cui allora dipendevano gli archivi.
La legislazione sulla privacy, se da una parte si è pensato di poterla utilizzare per indiscriminate preclusioni all’accesso agli archivi, dall’altra ha creato una buona occasione per avviare il processo di ampio ripensamento da molte parti auspicato. A questo compito il codice deontologico per gli archivisti e per gli utenti potrà portare, se adeguatamente compilato, un sicuro contributo.