Coordina: Marco Buttino
Spostamenti forzati di popolazione si verificarono nel corso della formazione, del consolidamento e del crollo degli stati a regime comunista. Il seminario presenta i risultati di ricerche in profondità su diversi casi studio e mira a proporre l’avvio di una discussione comparativa, che potrebbe allargarsi a situazioni analoghe verificatesi nella formazione e trasformazione di altri stati. Una delle relazioni, quella di Marco Buttino, riguarda i conflitti sociali connessi ad una carestia provocata dal crollo delle istituzioni dell’Impero zarista e alla guerra civile che l’accompagnò. Nella lotta per la sopravvivenza, che si verificò in questo contesto, le tribù nomadi erano la parte più debole della popolazione: furono allontanate dai pascoli tradizionali e private di ogni aiuto, in parte vennero distrutte da epidemie provocate dalla fame e in parte fuggirono. Le stesse tribù nomadi, considerate in un periodo successivo, sono oggetto della ricerca presentata da Niccolò Pianciola. La relazione analizza le dinamiche e le conseguenze che la politica di collettivizzazione ebbe per i pastori nomadi kazachi: perdita dei mezzi di sussistenza, morte per fame, emigrazione, traumatica mutazione culturale. La pauperizzazione che le tribù avevano subito a seguito dei conflitti e della carestia degli ultimi anni dell’Impero e nei primi dell’Urss, costituivano lo sfondo della crisi dell’economia pastorale kazaca causata da requisizioni e collettivizzazione. Lo stato privilegiò i coltivatori europei nella lotta per il controllo di risorse sempre più scarse. La carestia del 1931-1933 fece almeno un milione di morti tra i kazachi, mentre centinaia di migliaia di persone fuggivano dal Kazakstan e altrettante vi venivano deportate dalla Russia. A tutt’altra situazione si riferisce la relazione di Davide Artico, che tratta della degermanizzazione della Slesia dopo la II Guerra Mondiale. Questo caso di spostamento forzato di popolazione costituisce un aspetto della generale degermanizzazione dei territori tedeschi che il Trattato di Potsdam assegnò alla Polonia: dapprima vi furono le evacuazioni di civili ordinate dalle stesse autorità naziste a fronte dell’avanzata dell’Armata Rossa nell’autunno del ’44; quindi la cosiddetta “cacciata selvaggia”, messa in atto autonomamente dai coloni polacchi provenienti da Est, in condizioni spesso di arbitrio assoluto; infine la “verifica di nazionalità, cioé l’espulsione delle persone di nazionalità tedesca effettuata legittimamente dalle autorità polacche in forza del Trattato di Potsdam e di vari accordi formali con gli Alleati. La relazione sottolinea gli aspetti particolari della degermanizzazione in Slesia. L’espulsione dei tedeschi si concluse scelta nel 1950, quando fu compiuto il primo passo verso la “normalizzazione” dei rapporti fra Polonia e Germania. I conflitti connessi al crollo dello stato jugoslavo costituiscono il contesto della ricerca di Viviana Rossi. La relazione riguarda i movimenti forzati di popolazione nella guerra ed il loro significato in termini sociali (sradicamento e frammentazione) ed identitari. Il caso in esame è costituito dalla minoranza serba che viveva nella valle di Plavno nella Krajina croata. L’analisi in profondità di questa situazione viene affrontata facendo riferimento anche agli scenari politici e sociali più ampi, connessi alla crisi, alla guerra e alla costruzione di conflitto etnico negli anni 1990-1998.
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