Coordinatrice: Anna Maria Gentili (Università di Bologna)
Venerdì 23 settembre
II Sessione: 9.00-13.00
Aula 2
In Africa australe, qui intesa in senso politico e non strettamente geografico, la costruzione dello stato-nazione indipendente e del suo consenso politico si è definita mediante la mobilitazione popolare realizzata attraverso movimenti anti-coloniali che si sono poi sviluppati e ristrutturati in partiti politici gestori delle istituzioni e delle trasformazioni verso la modernità delle società coloniali. I processi di trasformazione oggi in corso, tanto sul piano economico, quanto politico, uniti ai processi di ridefinizione del controllo politico mediante i quali detti partiti dominano la scena politica (tutti sono al potere fino ad ora nella regione) esprimono il ruolo significativo del discorso politico, ideologico, sociale, culturale basato su iniziative politiche ed elaborazioni concettuali miranti a garantire e sostenere unità nazionale, sovranità e cittadinanza in relazione tanto al passato coloniale quanto alle sfide della modernità contemporanea. Il panel intende dunque presentare e discutere, attraverso i casi di Mozambico, Angola, Namibia, Zimbabwe e Tanzania – casi sui quali i relatori stanno svolgendo attività di ricerca – la formazione, le trasformazioni, le interazioni esistenti fra i movimenti di liberazione (oggi partiti politici) e la costruzione del consenso politico e della maturazione dello stato-nazione stesso mediante la rielaborazione storica e della memoria, sottolineando caratteristiche e dinamiche che determinano il ruolo politico egemone di detti partiti. La riflessione sui singoli casi si prefigge di analizzarli nel più ampio contesto storico-politico della regione, una regione quella australe, che per la sua storia specifica appare oggi significativa per lo studio dei fenomeni storici e politici legati allo stato, alle dinamiche dello sviluppo politico, ma anche economico e sociale, dell’Africa contemporanea.
Programma
- Anna Maria Gentili (Università di Bologna) – Costruzione dello stato nazione e ruolo del movimento di liberazione nel Mozambico post-coloniale
Il movimento di liberazione Frelimo in Mozambico considera al momento dell’indipendenza e per tutto il periodo “marxista” fino al 1992 la ricostruzione dello stato-nazione in Mozambico come una rivoluzione degli assetti costituzionali, istituzionali politici e economici. In seguito alla guerra civile e al processo di pacificazione nazionale con la nuova costituzione in un contesto di liberalizzazione economica e di democratizzazione il Frelimo continua a essere eletto come partito di maggioranza in un parlamento multipartitico. Il lavoro analizza sia la prima sia la seconda transizione nel contesto dei problemi e delle priorità dello sviluppo politico di uno dei paesi più sottosviluppati dell’Africa sub-sahariana, mettendo in rilievo le continuità e le rotture e comparando i problemi della costruzione di una cultura politica nazionale sia nel periodo socialista sia nel periodo della liberalizzazione economica e della riforme ispirate alla governance democratica.
- M. Cristina Ercolessi (Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”) – Guerra civile e trasformazioni dello Stato-Partito dell’ MPLA nell’Angola degli anni 90
La comunicazione intende analizzare le trasformazioni intervenute nel modello di Stato istituito in Angola dopo l’indipendenza del 1975. Tra l’indipendenza e i primissimi anni ’90, l’Angola è stata retta caratteristicamente da un modello di Stato a partito unico d’impianto “marxista-leninista”, confrontato tuttavia, da un lato, da una persistente opposizione armata condotta dall’UNITA e, dall’altro, da una crescente crisi di legittimità, di partecipazione politica e di sviluppo (nonostante le consistenti risorse petrolifere del paese). I primi anni ’90 introducono fattori di cambiamento sia sullo scenario esterno (caduta del comunismo, fine del bipolarismo Est-Ovest, transizione democratica in Sud Africa) sia su quello esterno, a seguito soprattutto dei primi Accordi di Pace (Bicesse, 1991) che includono clausole per la ristrutturazione in senso multipartitico (elezioni) del sistema politico angolano. Il fallimento di questo processo di pace e di un secondo tentativo (Protocollo di Lusaka 1994) causano non solo una recrudescenza della guerra civile ma anche un processo di ristrutturazione della struttura e della natura del potere dello Stato-partito, che si traduce ad esempio in un crescente rafforzamento della istituzione presidenziale. La comunicazione si propone di investigare questo mutamento strutturale in relazione ad alcuni fattori che appaiono di particolare rilevanza: la crescita del settore difesa/sicurezza all’interno dei circoli decisionali e in termini di spesa pubblica (a scapito della spesa sociale e per lo sviluppo), non-trasparenza dei bilanci pubblici, ecc.; la questione della rendita derivante dall’export petrolifero e gli annessi problemi di corruzione e mutamento delle modalità di patronage del sistema di potere; le politiche di privatizzazione e la formazione di un nuovo tipo di nomenklatura derivante dal controllo del potere statale ma ormai al punto di incrocio tra pubblico e privato; l’introduzione di parziali misure di democratizzazione formale (elezioni, nuova legislazione sui diritti civili e associativi, di stampa, ecc.) e le complesse relazioni tra Stato e società civile emergente. La fine della guerra a seguito dell’uccisione nel febbraio 2002 del leader dell’UNITA, Jonas Savimbi, ripropone sul tappeto tutte queste questioni, in particolare in relazione a quale Stato e a quale democrazia si vorranno costruire nell’Angola post-bellica. Appare infatti evidente che la ricostruzione statale e democratica del paese non potrà prescindere da un mutamento profondo anche della natura e delle pratiche del potere, in modo da permettere l’inclusione nella cittadinanza attiva di sezioni consistenti della popolazione che ne sono sinora rimaste escluse anche a causa della guerra.
- Cristiana Fiamingo (Università di Milano) – “Peace project”: la reintegrazione dei “former fighters”, tra processi di riconciliazione e di formazione dello stato namibiano
A fronte dell’esigenza di dotare la repubblica namibiana di un esercito autonomo e orientato ufficialmente alla difesa e ad operazioni di peace-keeping nel quadro della politica di sicurezza regionale della SADC, si tentano diverse strade per la reintegrazione nella vita civile delle forze smobilitate nel 1990. Si tratta di circa 70.000 “former fighters” tra guerriglieri del Plan – braccio armato del movimento di liberazione South West African Peoples’ Organization / Swapo -, e soldati e poliziotti namibiani arruolati nella South West Africa Territorial Force (Swatf) e nell’unità paramilitare di polizia sudafricana Koevoet: l’integrazione è ufficialmente parte del programma di riconciliazione nazionale, mentre si fa argomentazione di propaganda opportunisticamente funzionale agli obiettivi elettorali del partito (e dell’opposizione). Il “Peace project” del 1999 è l’ultimo ed il più organizzato di una serie di tentativi fallimentari d’integrazione: nominato un Tcec (Technical Committee on ex-Combatants) facente capo al Ministero degli Interni, si opera un primo censimento, identificando 9.621 ex-combattenti. Per il loro assorbimento (in campagna elettorale) si scatena una gara volta al loro inserimento nei vari ministeri e amministrazioni locali con le funzioni meno qualificate. É anche a causa di questo massiccio impegno statale, che oggi si contano quasi 70.000 impiegati dello stato a dispetto del progetto iniziale di ridurne drasticamente il numero. Emergono dalla disamina del caso problematiche attinenti alla formazione dello stato ed alla concezione dei diritti di cittadinanza e rappresentanza presso la popolazione, in un quadro che adombra i criteri di governance e di accountability, che generalmente inducono i commentatori a sostenere la sostanziale democraticità della Swapo, partito di maggioranza e di governo. Tali ombre non si proiettano soltanto sulla gestione della questione in particolare, ma sul più ampio discorso della riprogettazione dell’apparato statale, sulle politiche di redistribuzione della terra (culminata ora nella riforma del febbraio 2004) e sul contesto della gestione delle politiche del lavoro (progressivamente orientate tra affirmative action e black-empowerment). Nella fattispecie, si ravvisa chiaramente ora la riproduzione di un dualismo operativo che riflette un’evoluzione dello “stato biforcato” ereditato dal sistema coloniale, laddove al cambio dell’establishment e della progettazione sociale fondata sulla segregazione e sulla job reservation lungo la direttrice della colour bar, della vecchia gestione, si profila un cambiamento solo formale nell’impostazione del rapporto con la popolazione che assume, dal canto suo un’attitudine ambigua nei confronti dello stato stesso: tra lealismo dei clientes nei confronti del “benefattore” (la Swapo, partito di governo “erogatore” di lavoro) e disaffezione profonda e cosciente da parte degli esclusi, ma in una opportunistica adesione di facciata, per non perdere future possibilità di lavoro.
- Mario Zamponi(Università di Bologna) – Zimbabwe: nazionalismo, patriottismo e anti-imperialismo nella strategia della ZANU-PF
Nell’ambito della formazione e dello sviluppo dello stato-nazione in Africa australe, dove il ruolo della lotta armata e dei movimenti di liberazione nazionale è stato fondamentale per il processo di decolonizzazione regionale prima e della fine dell’apartheid poi, il caso dello Zimbabwe esprime limiti e contraddizioni tanto dei processi di rafforzamento dell’institution building e dei processi di democratizzazione, quanto del ruolo regionale e internazionale riguardo alle transizioni politiche in atto nel continente africano più in generale. La relazione intende discutere le questioni dello stato-nazione e dei processi di transizione alla luce dell’esperienza post-indipendenza dello Zimbabwe. In questo paese è in atto un ampio progetto di riformulazione e di rafforzamento della legittimità politica che, nel corso degli anni ’90 e sempre più dal 2000 fino ad oggi, ha visto il governo e il partito egemone (almeno fino alle elezioni del 2000 in cui per la prima volta è stato ampiamente sfidato dall’opposizione) riproporre la propria supremazia politica mediante concetti legati alla nazione e alla razza. In un contesto di crescente autoritarismo e di conflitto sociale il partito ha rilanciato, sul piano interno, il discorso della legittimità nazionale, del patriottismo giocato in una nuova versione di “storia patriottica”. Sul piano regionale e internazionale ha rilanciato una nuova forma di anti-imperialismo e di anti-colonialismo panafricano che si è espressa nella rivendicazione politica della necessità di uscire dagli schemi neo-coloniali ancora presenti nella regione dove ha dominato la storia coloniale dei settlers, sia mediante una nuova presentazione della nazione unificata dalla comune lotta di liberazione sia mediante le rivendicazioni legate ai processi di riforma agraria presentati come la soluzione politica e sociale delle ingiustizie coloniali.
- Arrigo Pallotti (Università di Bologna) – Stato e mercato nella Tanzania post-socialista: la riforma del governo locale
La fine dell’esperimento socialista in Tanzania a metà degli ’80, l’avvio della liberalizzazione economica e la reintroduzione del multipartitismo nel 1992 hanno messo in moto una ridefinizione degli equilibri politici, economici, e sociali all’interno del paese, suscitando interrogativi circa gli effetti negativi delle riforme sulla forte coesione sociale che aveva caratterizzato la presidenza di Julius Nyerere. L’elemento che contraddistingue la transizione post-socialista tanzaniana è costituito dalla capacità fino ad ora dimostrata dalla classe politica raccolta intorno al Chama cha Mapinduzi (CCM), il partito che si identifica con la tradizione del nazionalismo tanzaniano, di gestire i molteplici processi di trasformazione evitando di vedere compromessa la propria legittimazione politica a causa dei fenomeni di corruzione, impoverimento e disuguaglianza che le riforme hanno acuito. Il saggio prende in esame la riforma del governo locale avviata in Tanzania a metà degli anni ’90 e mette in luce le contraddizioni tra le pressioni esercitate dai donatori per una maggiore partecipazione dal basso alle scelte politiche tramite la liberalizzazione dei servizi a livello locale e la determinazione del CCM a non perdere il controllo politico delle aree rurali del paese. L’attuazione del programma di riforma del governo locale permette di avanzare una serie di considerazioni non solo sul rapporto tra governo e donatori, ma anche sui fattori politici e sociali sedimentati dalla storia post-indipendenza della Tanzania che contribuiscono a spiegare le resistenze che nelle aree rurali si sono sviluppate al tentativo di ridefinizione della partecipazione politica tramite meccanismi di mercato.